Kayo Dot
Coffins On Io
Destino vuole non che io abbia ad innamorarmi perdutamente di ogni brano dei Kayo Dot di Toby Driver (sia mai), ma proprio di quelli che prendono piede nella maniera più sciagurata, insensata, discutibile possibile. Come premiere di Coffins On Io, settima prova in studio ad appena un anno dal mozzafiato Hubardo e primo disco ad uscire per i tipi della piccola label The Flenser, è stato scelto come singolo promozionale ( vabbè) Library Subterranean. Che inizia per lappunto così: nella maniera più sciagurata, insensata, discutibile possibile, unaccozzaglia di tastierone synth wave ad ammonticchiare una povera scenografia per gli acidi riverberi di (inutilmente) vistosa strumentazione Sisters Of Mercy terribilmente fuori tempo massimo. Da ringraziare, perlomeno, cè il fatto che leffettiva qualità della registrazione su nastro non sia la stessa del pezzo messo originariamente a disposizione su Soundcloud, orribilmente compresso ed arcuato sulle alte frequenze. Per poco più di due minuti e mezzo, Driver segue una melodia tutto sommato ruffiana, diluita negli interstizi da chitarre spianate: poi, è come se un mondo finisse nellapocalisse, come se mai ci fosse stato posto per letereo ed il fuggevole. Le sei corde cominciano a deformarsi, i synth fischiano su schizofrenici girotondi, la sezione ritmica si increspa a singulti. Sembrano i Japan che si mettano a suonare math-core, i King Crimson di Fripp e Belew alla ricerca esasperata del controtempo, una sarabanda di acrobatiche sezioni dispari sulle quali a guisa di taglierino di Fontana entra a martello un sax à la Sonny Rollins. Di distonia in distonia, il marasma cresce, lievita: improvvisamente, infine, tace, si ferma. Come il risveglio subitaneo da un incubo.
La recente frequentazione nei Vaura? Ha, comprensibilmente, il suo peso. Una schizofrenica bulimia che da sempre lo porta a scivolare dappertutto e da nessuna parte? Si capisce. La continuità nostalgica di certe armonie cosmiche, astratte, imprendibili, in definitiva pazzesche che per i maudlin of the Well sono filtrate nei Tartar Lamb prima, in svariati episodi di Hubardo poi? Anche. Il fatto è che, per quante giustificazioni si adducano, Coffins On Io rimane un disco del tutto criptico, inspiegabile, insondabile. Unanomalia di percorso, la si definirebbe: ma nessuna anomalia presenta una tale coerenza interna, una tale (im)perfetta compiutezza. I Kayo Dot rinunciano, per lennesima volta, al metal: non sparando allimpazzata con discutibili armamenti crossover (gli stessi che diedero vita allinascoltabile Dowsing Anemone With Copper Tongue, per dirne una), ma dedicandosi anima e corpo allardua missione di comporre un disco dark wave. Impresa, incredibile dictu, non solo portata a termine con successo, ma anche con essenzialità (sostantivo difficilmente accostabile al collettivo mutante del Massachussets) e con un lodabilissimo nitore di scrittura.
Basterà, daltro canto, ascoltarsi con attenzione lopener The Mortality Of Doves (11.53) per cogliere senza fallo lelemento chiave, il fattore X in grado di trasformare radicalmente la natura di un pezzo a tratti new romantic: linnato talento, da parte di Driver, di combinare melodie sempre imprevedibili, arrangiandole con uno straniante distacco di fondo che permette ad ogni singolo elemento di rimanere impresso nella mente. La stessa sua voce, fragile, sussurrata, manifesto sonoro di una Sehnsucht esistenziale non sradicabile, completa il quadro delle suggestioni. Solo nel Sylvian che rapsoda sopra bassi Mick Karn di Offramp Cycle, Pattern 22 (con tremolante e ricorsiva coda retrofuturistica inesorabilmente alla deriva) lidea sembra trascinata per i capelli, tirata per le lunghe: un possibile effetto collaterale di una concezione di canzone antitetica a quello comune. Lo si capisce, anche e soprattutto, nei passaggi di minor durata, asciugati dalle propaggini strumentali: Longtime Disturbance On The Miracle Mile ha dalla sua il respiro circolare dei cristallini arpeggi di chitarra e la perfetta linearità del ritmo, laddove invece gli echi vagamente industriali di The Assassination Of Adam (con uno dei riff portanti più standard che la storia dei Kayo Dot ricordi) si disgregano in una nebulosa free che singhiozza, palpitante ed ultraterrena. È il preludio alloperetta neoclassica conclusiva, Spirit Photography, dolce e minimale modulazione per fiati e sei corde che fluttua in una perenne, scheletrica penombra.
Dati trascorsi e curriculum, e fatta eccezione per Hubardo, non sembrava credibile che i Kayo Dot riuscissero a dettare le regole del gioco. Eppure, per la prima volta nella loro storia, e con la scelta più coraggiosa da intraprendersi in questo momento, è stato disinvoltamente infilato un altro strike. Let a new beginning start.
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