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R Recensione

6/10

Nina Zilli

L’Amore È Femmina

Alla fine, Simone, il nostro amato angelo Alex è andato a zompare tra i canguri. Vorrei dire, è stato gentilmente costretto a dismettere il suo appartamento di Torino, ma per le polemiche c’è sempre tempo… Fatto sta che, insomma, ci capiamo, no?, uno cresce con il mito del Capitano, si aspetta di nascere e morire con lui, di seguirne le gesta dall’ascesa al crepuscolo, e proprio quando manca tanto così, glielo tolgono da sotto il naso, quasi come se fosse un soprammobile pieno di polvere che la tua vecchia zia ereditiera ha voluto anzitempo indietro. Come se Manolis Glezos avesse sradicato la bandiera del suo paese dall’Acropoli, e non l’orribile svastica nazista: si può pensare ad un’aberrazione del genere? Eppure. Del Piero è nato fenomeno. Giocava nel 1993, nella mia Padova, e già partivano le lodi: giocava nel 2002 alla Juventus, e apriti cielo; giocava nel 2006 con la Nazionale, e nemmeno il più acceso antijuventino si scorderà mai di quella botta sotto, quel capolavoro del 120’, che avrà strappato a Lehmann qualche oculata madonna. Pinturicchio, mio Pinturicchio! Dalla sua generazione più nulla è stato uguale perché, si sa, le maglie sociali dell’Italia sono dei colabrodi buoni solo a far scappare i cervelli ed i talenti. Ha dovuto aspettare dieci anni, Nina Zilli, per ottenere il riconoscimento di pubblico che le spettava, e grazie tante: con quella voce, quella presenza scenica, quell’intelligenza strategica, poteva esserci forse destino diverso? Poteva, poteva… Ha dovuto andare negli USA, ritornare in patria, prendere dalla donna per eccellenza il nome e dalla madre il cognome, poi imbattersi in Giuliano Palma. E, perdiana!, pare proprio che non sia stato senza conseguenze, l’incontro. L’hai vista l’esibizione all’ultimo Eurofestival, “L’Amore È Femmina” che diventa “Out Of Love” sotto un’impressionante raggiera di fiati Motown, un grattino vocale dietro l’altro ed una maligna chitarrina ska in levare?

Di fondo sono d’accordo con te, caro Biz. Sotto molti aspetti. Eppure, sarà la differenza d’età o una certa inclinazione personale, la mia visione delle cose ti sembrerà un pochino scettica, qua e là persino cinica. Sia per quanto riguarda il discorso di Alex, che per quello di Nina. Mi spiego meglio, cominciando dal primo. Su una cosa hai ragione: non ce ne sarà un altro come lui. Non per noi, almeno. Noi che l’abbiamo visto nascere, crescere e tramontare (in senso nietzschiano) calcisticamente che eravamo ancora così giovani (tu più di me) e dunque nell’età più fertile, entusiastica, immaginifica. Ed è anche vero che quando un grande amore finisce, è praticamente impossibile lasciarsi bene. Ci sarà sempre uno dei due che ne soffrirà di più. Ma nel nostro caso, forse, è dipeso anche un po’ da lui. La rigidità unilaterale da “new deal” marchionniano/agnelliano ha cozzato contro l’orgoglio cieco del grande campione che si sente sempre tale, che vorrebbe fermare il tempo, che non si accorge che è arrivato il momento. Quello perfetto, sublime, immacolato. Quello del Grande Addio dopo che si è dato tutto e anche di più: i capolavori giovanili, i goal “alla Del Piero”, l’Italia, l’Europa e poi il mondo, l’infortunio e la resurrezione e poi la condanna, il contrappasso, ma a volte, come diceva Milton, “è meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso” e allora la serie B, i due titoli di capocannoniere, le nuove delusioni e i versi sciolti, meravigliosi, predicati nel deserto degli ultimi anni, fino a ieri, all’ultimo scudetto, quello più perfetto, agognato, imbattuto, inattaccabile, il ciclo che si chiude. Quello era il momento. Boniperti, l’uomo che lo portò alla Juve, la Juve stessa per quasi quarant’anni, si ritirò a 33, gli anni di Cristo. Michel “Le Roi” Platini, l’esteta supremo, l’Oscar Wilde, il Morrissey del calcio, a 31 perché, come né “Il ritratto di Dorian Gray”, non sopportava di vedersi invecchiare, ingrassare, diventare quello che aveva sempre odiato. Loro l’hanno colto quel momento. Del Piero no. Ma fa lo stesso. Perché, chi lo sa, magari col senno del poi questa cosa lo renderà ancora più unico. Ancora più grande. Alessandro il Grande. L’eroe dei due mondi.

Ecco: visto cosa succede ogni volta che attacchiamo a parlare di lui? Non riusciamo più a smettere. Più di mezza cartella divorata di getto e neanche una parola sul disco. Perché è di quello che dovevamo parlare, no? Ed è quello che i nostri lettori non-juventini vorrebbero sentire. Almeno credo. E allora parliamo di lei, di Nina. Allora, Zilli Nina: splendida voce, certo, scura, forte, alta e sensuale come lei. E poi grande presenza scenica, grinta da vendere, personalità distinta e spiccata nel “poppame” mainstream italico, dove imperano la banalità, il vecchiume spacciato per nuovo, l’usa e getta, i “quindici minuti di celebrità”dei vari talent show. Una che, come ricordavi giustamente, il successo e la notorietà se li è sudati e, sostanzialmente, meritati e che avrebbe le carte in regola per diventare un crack, anche dal punto di vista qualitativo. Eppure quanto di buono è stato detto su di lei emerge solo in piccola parte dal suo secondo album intitolato “L’Amore È Femmina”. Colpa, secondo me, di una scrittura ancora acerba e piuttosto convenzionale (nonostante gli autori, taluni anche di buon livello come Pacifico e Carmen Consoli, chiamati a darle manforte) e di una produzione fin troppo pulita, patinata, “televisiva” che trasforma il suo pop vintage graffiato di soul in una specie di recital in stile “X-Factor” (d’altronde il produttore, Michele Canova Iorfida, lavora normalmente con gente come Tiziano Ferro, Antonacci, Pezzali, Ramazzotti…). Certo ha i suoi momenti: il giro funky insufflato di archi e synth di “Per Le Strade”, il northern soul scoppiettante della title-track, “Un’Altra Estate”, che è un brano originale (scritto dalla Zilli con Carmen Consoli) ma sembra una bella cover R&B di quelle che si facevano negli 60, e “Anna”, con quell’accompagnamento che in certi punti sembra ammiccare a John Barry o “La Felicità” quando, a due minuti circa, si gonfia in un crescendo quasi baustelliano (anche nel testo: “Il vuoto intossicante della mia generazione / l’incedere elegante di ogni cambio di stagione”). Più spesso però si ricade in formule fin troppo ovvie e derivative che nemmeno la sua interpretazione, sempre energica oltre che tecnicamente impeccabile, riesce a riscattare: il blues “celentaniano” di “La Casa Sull’Albero” (smog, fabbriche, alberi morenti, periferie e centri commerciali, mancano solo le case a ringhiera e “dove c’era l’erba ora c’è…”), lo scontato italo nu-soul anni 90 (retaggio del periodo pre-Nina della nostra Maria Chiara Fraschetta) di “Piangono Le Viole”, i languori erotico-winehousiani di “Una Notte”, tradotti in un italiano pruriginoso da tv democristiana (con versi come “eccomi nuda sotto questa luce / prendimi così, se ti piace” e, in generale, un testo che, boh, magari sono malato io ma fateci caso, si presta ad una salva di doppi sensi camp sul sesso anale) e altri pezzi abbastanza mosci (ora però basta coi doppi sensi, per carità!) come “L’Inverno All’Improvviso” e “Per Sempre”.

D’altro canto, Simone, cosa vuoi!, sono argomenti in cui si fatica a destreggiarsi, figurati a rimanere obiettivi. Non sono d’accordo quando parli di “L’Inverno All’Improvviso” come di un momento morto, ma sarà perché sentir schioccare le labbra di Nina nel post-chorus (invero, quello sì, un po’ troppo enfio e pomposo, liberazione orchestrale fuori luogo in un soul peraltro grasso e rubicondo) provoca indicibili reazioni di piacere. Ne parliamo adesso, a distanza di sette mesi dall’uscita ufficiale del disco – subito dopo Sanremo, ormai lo sapere tutti, il romanticismo composto e leccato di “Per Sempre”, “Mina” Zilli ed altre baggianate da salottino berlusconiano –, non solamente per vedere l’effetto che fa, ma anche per un dovere (o un volere?) di maggiore obiettività: cosa, lontano dall’hype, è rimasto in piedi, e cosa no. Sono anche questi piccoli, tangibili segni d’amore. Nel frattempo, l’abbiamo detto: il boom di vendite, l’Eurofestival, un lungo tour per la Penisola, e poi chissà. Del Piero, arrivato a Sydney, ha già fatto in tempo a catturare l’attenzione di sette televisioni nazionali: voyeurismo morboso, per certi versi. Ma Nina, da ragazza intelligente quale mi sembra, saprà far parlare di sé, anche in futuro, senza per forza veicolarsi coattamente attraverso il tubo catodico.

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Voto degli utenti: 6,6/10 in media su 8 voti.
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babajaga 8,5/10
333 10/10
bbjmm 4/10

C Commenti

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salvatore (ha votato 5,5 questo disco) alle 13:33 del 25 settembre 2012 ha scritto:

Gran voce e sorprendente presenza scenica, come avete fatto ben notare. Una presenza scenica che deve tutto alle grandi cantanti dei '60 e niente a quelle odierne. Il disco, però, alla lunga, un po' stufa. Per lei vale lo stesso discorso che faccio per Cremonini: potrebbe fare molto ma molto di più.

ROX alle 17:40 del 25 settembre 2012 ha scritto:

sono d'accordo con Salvatore... lei è brava, ma questo riproporre il sound anni 50 alla lunga stanca

PetoMan 2.0 evolution alle 11:18 del 30 settembre 2012 ha scritto:

mi sembra una sorta di via di mezzo fra amy winehouse e mina. cioè, nelle intenzioni almeno, no?

Soul-Pop (ha votato 6 questo disco) alle 21:17 del 13 dicembre 2012 ha scritto:

L'unica cantante italiana che apprezzo appieno

Soul-Pop (ha votato 6 questo disco) alle 21:17 del 13 dicembre 2012 ha scritto:

L'unica cantante italiana che apprezzo appieno

forever007 (ha votato 5,5 questo disco) alle 15:37 del 19 dicembre 2012 ha scritto:

Secondo me avrebbe potuto fare di più, arrivano alla sufficienza solo L'amore è femmina (giusto perchè ci azzeccava molto d'estate) e Non qui..per il resto la voce non basta a sopperire alle lacune e banalità dei testi

forever007 (ha votato 5,5 questo disco) alle 15:37 del 19 dicembre 2012 ha scritto:

Secondo me avrebbe potuto fare di più, arrivano alla sufficienza solo L'amore è femmina (giusto perchè ci azzeccava molto d'estate) e Non qui..per il resto la voce non basta a sopperire alle lacune e banalità dei testi.