R Recensione

6,5/10

Trevor Dunn

Nocturnes

Per quanto la discografia di Trevor Dunn come turnista e membro integrato di altre band, distribuita su quasi trentacinque anni di carriera, sia pressoché incalcolabile nelle proporzioni (si va nell’ordine, con evidente approssimazione, di almeno qualche centinaio di registrazioni), fino all’anno scorso chi scrive era a conoscenza di un solo disco licenziato in solo a proprio nome, l’antologico “Four Films” (Tzadik, 2008) che, come da titolo, riuniva tutte le musiche composte dal polistrumentista di Eureka, CA per una serie di cortometraggi sperimentali. Fino all’anno scorso, dicevamo, perché fra i molteplici interessi di Dunn, manifestato in maniera più o meno indiretta in una serie di lavori (si pensi alle collaborazioni coi Melvins nella loro fase Lite, all’inserimento in alcune delle formazioni più liriche della galassia zorniana, alla liason con alcune figure borderline della classica contemporanea…), v’è anche la musica da camera: una nicchia elitaria, a suo modo insolita, dalla ridotta visibilità, cui questo “Nocturnes” (Tzadik, 2019) si perita finalmente di dare la giusta rappresentanza.

Anche “Nocturnes”, come “Four Films”, nasce in partenza come crestomazia: in esso, infatti, vi trovano collocazione quattro composizioni, scritte da Dunn lungo un trentennale (1989-2018) e interpretate da una grande varietà di ensemble. La valutazione generale non può pertanto essere omogenea, ma deve tenere conto di questi dislivelli cronologici e circostanziali, che a tratti si manifestano persino all’interno di una stessa composizione (i tre movimenti per String Quartet, ad esempio, risalgono a vari periodi tra il 2007 e il 2018). Se, ad esempio, la “Melody For Contrabass With String Quartet” (1989) tende un po’ a soffrire di un’interpolazione sparsa e gratuita di perforanti dissonanze per archi che si direbbero quasi seriali, in “Tertiam Vocem” (2017) il piano di Vicky Chow assume la funzione di astratto, spazializzante catalizzatore dei contorti lamenti dei violini di Carla Kihlstedt (Charming Hostess, Sleepytime Gorilla Museum), Cornelius Dufallo e Jennifer Choi. Sebbene, come prevedibile e comprensibile, l’estetica ceda spesso il passo al concetto, i due poli non sono in contrapposizione fra loro: molto curati, anche nel disvelamento armonico, sono in particolare i primi due movimenti per quartetto d’archi (intenso, consequenziale e stridente il primo, gravitazionale e centrifugo il secondo). Paradossalmente è il blocco centrale, con i sei notturni per pianoforte (2015-2017), a soffrire maggiormente l’oscillazione qualitativa, nonostante la relativa compattezza tematica: per un terzo, fascinoso e misterico, che dipinge una melodia dai confini indistinti, e un sesto che svaria attorno ad un senso quasi swing del contrappunto, ve ne sono un secondo più cadenzato e piuttosto irrisolto (a dispetto di un persistente retrogusto klezmer) e un quinto che senza alcun sussulto gioca la carta della classica contemporanea minimal.

Non si tratta, comprensibilmente, di un disco imprescindibile: “Nocturnes” è, piuttosto, la più classica delle curiosità esotiche, che chi fosse interessato ad acquisire una panoramica completa sulla personalità artistica di Trevor Dunn farebbe bene a conoscere. 

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