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R Recensione

7/10

Peaking Lights

Lucifer

Quando una band, dopo un disco acclamato, ci mette soltanto un anno per pubblicarne un altro si danno due casi: o sta attraversando una fase creativa spettacolare o sta cercando di cavalcare commercialmente l’onda. Dal momento che si tratta dei Peaking Lights, duo lui/lei abbastanza freak da mettere i vagiti del proprio figlioletto all’interno di un pezzo (“Lo Hi”), escluderei la seconda ipotesi. “Lucifer”, in compenso, avvalla solo in parte la prima.

Già dall’insipido artwork si capisce che qua il duo del Winsconsin offre qualcosa in meno rispetto all’esaltante “936”, confermandosi pur sempre una delle realtà più gustose di questo inizio decennio. Uscito dopo una lunga serie di strepitosi mixtape in cui si svariava con disinvoltura dall’afro-beat al synth pop più trash, “Lucifer” sembra in realtà conciliare quegli estremi in modo piuttosto simile al passato, ossia attraverso un’esplosione di ritmiche dub e di svolazzi psichedelici di organi e chitarre, in un trionfo melodico bagnato di sole. Lucifer, infatti, è qua intesa come stella del mattino, e anche se i titoli delle tracce suggeriscono un concept notturno, i Peaking Lights restano un duo di accaldatissime estati, piene di luce.

Aumentano, allora, le infiltrazioni reggae, evidentissime in pezzi come “Cosmic Tides” (la cui coda psych-dub è pura goduria) o “Lo Hi”, anche se Coyes poi sa declinare mille attitudini ritmiche diverse, ad esempio rinunciando del tutto al beat (ma l’esperimento, in “Beatiful Son”, fa un po’ cilecca) oppure indirizzandolo verso il dancefloor, come nell’eccellente “Dream Beat”, che è esattamente ciò che il titolo dice, con quei bassi presi dall’electro ’80 che ubriacano.

Perché l’effetto di queste jam, poco da fare, è sempre stordente, con le mille fughe melodiche a farti entrare sottopelle i suoni sparpagliati apparentemente adminchiam nel labirinto assolato dei brani, mentre poi sono loro a funzionare di più rispetto alle linee vocali trovate dalla Dunis. Insomma, è facile trovarsi a canticchiare una linea di basso o un giro di organo, come nel tripudio di “Midnight (in the Valley of Shadows)” o nell’esaltazione Not Not FunLo Hi”, dove riemerge al completo quel sostrato di neopsichedelia sporca e colorata (da Sun Araw a Eternal Tapestry) che è poi la base da cui i Peaking Lights sono partiti, aggiungendoci la loro sensibilità pop. Peccato per i vagiti neonatali, per cui a ragione un giorno, in un futuro nemmeno troppo lontano, il piccolo Mikko (!) si incazzerà di brutto.

Noi, invece, che pure un po’ potremmo prendercela per un disco che solo per metà tiene fede allo spettacolo di “936”, è meglio se ci godiamo, belli scialli e spiaggiati, questo sedicente stato di grazia dei Peaking Lights.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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TexasGin_82 alle 12:07 del 26 giugno 2012 ha scritto:

Quello prima mi era piaciuto, questo almeno a un primo ascolto direi proprio di no. Sono d'accordo con Target: le linee vocali funzionano assolutamente meno di quelle strumentali. Anzi, direi che più che altro il problema sia l'amalgama tra le due. Cioè il cantato è rimasto molto simile a quello di 936, dove si univa splendidamente alle basi tropical-amazzoniche, per usare un termine tecnico. Mentre ora, con le basi che si sono fatte più ritmiche, aggressive e reggaeggianti (soprattutto da Cosmic Tides in poi) c'entra come i cavoli a merenda. Peccato, perché alcune delle basi sono davvero valide.

hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 22:35 del 26 giugno 2012 ha scritto:

migliora la produzione (non che sia un vantaggio), di netto, ma è corretto dire che non si è sui livelli di "936", in termini creativi. però, pezzi come "dream beat" (da urlo) e "lo hi" sono estro puro; torno: intanto Francesco, sui coniugi più dub del momento, perfetto.