Peaking Lights
936
Balzo in avanti sontuoso dei Peaking Lights, ennesimo colpo della Not Not Fun, puntellamento pop della grammatica neo-psichedelica: cos’altro? Un disco della madonna, ecco. Sun Araw che remixa i Beach House, in un allagamento di sole. Una goduria. Che gli sposini di base in Wisconsin Aaron Coyes e Indra Dunis ci sapessero fare era chiaro sin dalla cassetta d’esordio (“Clearvoiant”, 2008) e dal torbido seguito (“Imaginary Falcons”, 2009), tra droni onirici su basi tropical-dub rigorosamente analogiche e detriti di chitarre intrippatissimi. Un’ipnagogia da fondi del barile. Cameron Stallones un po’ più fuzzoso, lo-fi e sognante assieme. Certo, dischi non facili. Inimmaginabile, dunque, un passaggio a questo “936”, nel quale il gradiente pop e il fattore ritmico aumentano a dismisura, stirati in lunghe distese drogate fino a rischio squagliamento per eccesso di sudore. Perché si canta e si balla, qua.
Il segreto di questo salto di qualità sta da una parte nella voce delle Dunis, capace di catturare più che nel passato melodie a efficacia immediata, dall’altra nel basso dubboso, in preminenza, che movimenta tutto, crea spazi, si infanga di eco. Sopra si rovesciano le stilettate di chitarra di Coyes, qua psych-freak da delirio visionario e là semplici rifiniture di melodia, quasi giocose, e si insinuano i bagni di organo, tra inserti rumoristici residui della vecchia maniera e colorati balocchi ritmici, per un effetto che è di dolcissima ipnosi, da Stereolab in un hypna-mondo, deliqui di dadaismo caraibico, Forest Swords in bermuda: la definitiva apertura easy-listening dell’intontimento estivo da dopopranzo che Ducktails, Dylan Ettinger (“Synthy” sembra omaggiarlo), Sun Araw e compagnia svirgolante avevano consacrato in una declinazione più nostalgica e cazzosamente new age-y.
“936” è, invece, attualissimo. Non potrebbe che nascere oggi e senza dichiarazioni di rimpianti '80, senza bisogno di una sponda su cui giocare. Uno più bello dell’altro i brani, dall’inno di “All The Sun That Shines”, tra cascate di tastiera e chitarre sfrigolanti che ti sfilano davanti con continui giochi di balance dx/sx (il corteo del groove!), alla lunga jam surf-giamaicana di “Birds Of Paradise (Dub Version)”, dalla filastrocca lounge (ma in versione space-freak anni ’60) di “Hey Sparrow”, alle sinuosità sexy di “Tiger Eyes (Laid Back)”. Peccato che la Not Not Fun disincentivi l’acquisto del vinile, includendo solo nella versione in cd due pezzi, sì, leggermente devianti rispetto agli altri, ma di ottima qualità, come l’electro-ambient di “Marshmellow Yellow” e lo sciancamento trip-hop di “Summertime” (i Knife a Los Angeles?).
Disco da loop continuo e godimento assoluto. I Peaking Lights alzano l’asticella della nuova psichedelia, pubblicando un album destinato a diventare irrinunciabile per capire l’underground americano tra decenni zero e dieci.
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