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R Recensione

6,5/10

The Pineapple Thief

All The Wars

Da alcuni anni gli inglesi The Pineapple Thief si stanno predisponendo, con tutte le energie a loro disposizione, per compiere il grande salto che li conduca definitivamente fuori dal tunnel dell’underground e verso una luce che irradia più ampi campi di visibilità dopo una carriera iniziata nel 1999, costellata da ottime prove discografiche (nove incluse il lavoro oggetto di questa recensione), che sono comunque rimaste ad appannaggio di un pubblico certamente fedele ma ancora esiguo.

 

I The Pineapple Thief persistono nell’alternare melodie sinfoniche o anche semplicemente psichedeliche e atmosfere più dure ed elettrificate. La vicinanza con gli Smashing Pumpkins continua ad essere ad essere un elemento piuttosto evidente (specialmente nella bella cavalcata elettrica di Warm Seas), anche se il leader Bruce Soord (voce, chitarre, tastiere, compositore) sembra stavolta meno propenso a fare il verso a Billy Corgan come accadeva nei primi anni di vita della band del Dorset. Molto spesso, anche in questo nuovo opus, l’idea che si riesce a cogliere dei The Pineapple Thief è quella di una fusione fra il gruppo autore di “Mellon Collie &The Infinite Sadness”, i Porcupine Tree (periodo “Stupid Dream” / “Lightbulb Sun” ma anche “In Absentia”), i Muse e i compagni di scuderia Anathema. Per produrre “All The Wars” non si è badato a spese: a partire dall’ingaggio per l’artwork  di Storm Thorgerson, storico vate grafico dei Pink Floyd (ma anche di Matthew Bellamy e sodali), fino all’inserimento di una sezione d'archi di 22 elementi (a giudicare dal risultato finale, non così stucchevole e invadente come si temeva), tutto doveva contribuire alla realizzazione di un quadro d’insieme  compatto, capace di mantenere vivo l’entusiasmo dei vecchi seguaci ma anche assolutamente pronto a catturare l’attenzione di chi non avesse mai incrociato le coordinate sonore di Soord & soci.

Brani come Last Man Standing (con un giro di chitarra che rammenta Blackest Eyes dei Porcupine Tree) e Give It Back, hanno la responsabilità - più di altre tracce - di irretire in una ragnatela magnetica l’ascoltatore di passaggio, invischiandolo con un armonie dense sorrette da chitarre poderosissime (ma lontane da ogni velleità prog-metal sia ben inteso) e da ritmiche serrate, condite con un gusto hard-pop psichedelico. Più dolce e ammaliante la miscela offerta da Someone Pull Me Out, che ancora una volta riconduce bruscamente verso i territori battuti dagli Smashing Pumpkins. Uno dei pezzi più coinvolgenti del programma è la ballad All The Wars, il cui tema viene malinconicamente condotto dalle chitarre acustiche alle quali si aggiungono gli archi, regalando momenti di rara grazia introspettiva, senza che questa soccomba sotto il peso delle partiture orchestrali e senza cedere il passo ad emozioni troppo struggenti.

Come accaduto anche nei precedenti lavori, anche questo “All The Wars”, riserva in chiusura la sua lunga pièce de résistance: Reaching Out, nei suoi quasi dieci minuti, cerca di fare una sintesi fra verve psichedelica, riflessività, irruenza e raffinatezza. Stavolta gli equilibri tuttavia non risultano pienamente rispettati e l’ispirazione iniziale pare troppo asservita all’impeto sinfonico e alla magniloquenza di un nutrito coro vocale.

Sicuramente “All The Wars” ha il grande pregio di essere un album in grado di non disperdere le energie e di saper andare al nocciolo delle cose, con classe e, tutto sommato, con un buon senso della misura. Riusciranno i The Pineapple Thief nel loro obiettivo di conquistare ulteriori schiere di estimatori dopo il già ampio sdoganamento del 2008, grazie a quel “Tightly Unwound” che molti consensi ha portato alla band e con il quale suono è stato oggetto di una metabolica cura rinvigorente? Non è dato saperlo: certamente sembrano definitivamente superate le cadute di tensione che hanno compromesso la piena riuscita del penultimo disco in studio “Someone Here Is Missing”. Tutto dipende da quale pubblico ha in mente di raggiungere Bruce Soord. Ancora una volta è da constatare l’assenza di quegli arrangiamenti elettronici che avevano aperto, a dischi come “Ten Stories Down” (2005) e “Little Man” (2011), le porte di sonorità – in parte riconducibili anche ai Depeche Mode e ai Radiohead – mai più rivisitate con analoga convinzione: dubito quindi che quanti abbiano apprezzato quelle gemme si ritroveranno completamente in “All The Wars”.

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Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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luca.r 5/10

C Commenti

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Utente non più registrato alle 13:59 del 20 settembre 2012 ha scritto:

Continuo a seguire con interesse questo gruppo, anche se mi pare vadano via via perdendo quelle sfumature prog per avvicinarsi di più a territori alt rock (o quello che è o come lo si vuole chiamare...), ma ciò non necessariamente è un male, se fatto come si deve.

Con quest'ultimo lavoro una delle componenti che non mi avevano mai convinto del tutto, cioè l'utilizzo della voce, a tratti un pò leziosa, è stata corretta in meglio.

In definitiva trovo che sia un buon disco, senza particolari picchi ma anche senza cadute di tono, coerente dall'inizio alla fine. Molto interessante anche la musica acustica contenuta nel disco 2.

Come spesso mi capita con produzioni attuali (a volte anche con qualcosa del recente passato), quando il cd smette di girare, ho l'impressione d'aver ascoltato sì della buona e piacevole musica, ma che sia rimasta ad un livello superficiale, senza che mi abbia dato quelle emozioni profonde ed indelebili che i miei gruppi preferiti continuano ad elargirmi anche a distanza di anni ed anni.

Ma può darsi che sia un mio limite, non lo so...