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R Recensione

6/10

Universal Sex Arena

Romancitysm

Mendace è la tracklist di “Romancitysm”, secondo disco del sestetto veneto Universal Sex Arena giunto ad un anno e mezzo di distanza dall’acclamato esordio “Women Will Be Girls”: sette sono i brani indicati in copertina, ma numericamente del tutto diverso il loro alternarsi, la loro effettiva percezione, l’impossibilità di individuare – secondo logica e rigore – la cesura che ponga fine ad uno per dare inizio all’altro. Non uno stream of consciousness psichedelico od un unitario dramma aristotelico, ci si intenda: piuttosto, grandi finestre generaliste, issate in base ad un (non rigoroso) principio di contiguità tematica, entro le quali si susseguono le scosse ed i colpi di scena, prendono corpo e si inanellano tra di loro una serie potenzialmente sconfinata (ed automorfa) di segmenti, trova compimento il principio – logorroico – della variazione su canovaccio dato. Se la città, nell’economia del concept, è un corpo femminile che della socialità si nutre e nella socialità si sviluppa, gli Universal Sex Arena sono gli officianti chiamati a stringere il legame.

Sette episodi, allora, che potrebbero invece essere dieci, cinquanta, cento, a partire da una “Breathe The Light” che, avviandosi furtivamente dub, sboccia in una dichiarazione proto-punk mica da ridere, una raffica di assoli blues che periodicamente intervallano il miagolare soul di Voiture Tempo (come prendere gli MC5  e costruirci sopra una quasi-suite). “Take My Shirt Off” esalta il ruolo della sezione ritmica che, riempiendo ogni singolo vuoto, trasforma i dieci minuti del pezzo in un vero e proprio campo di battaglia garage-no wave, sul quale scende coraggiosamente il favoloso interplay chitarristico, una gargantuesca torcida combattuta testa a testa fino all’ultimo respiro. Tanto agitarsi e strepitare (persino parossistico in “The Ghost Town”, un uragano funk che sbatte a destra e a manca addosso a muri di percussioni) richiede a gola spiegata il ritagliarsi di adeguati frangenti di recupero: da qui i bassi sinuosi di “The Legendary Healer” (dei crooner r’n’b che non siamo stati e che non saremo mai), il bianco romanticismo a cottura lenta di “Sudden Donna”, una “Eyes Yelling “The Future”” che rispolvera certi Franz Ferdinand synth-oriented degli ultimi anni. L’alternanza è riuscita, ma i cali di tensione si rivelano fin troppo bruschi, e a momenti stridente il contrasto fra canzoni sui generis e pezzi d’assemblaggio: tant’è che a farsi preferire, di gran lunga, è il coloratissimo riff Minutemen (roba quasi da “The Punch Line”) di “The Last Detroit’s Urbanist”.

Non convenzionale e allergico alle classificazioni sin dalla scelta dello studio di registrazione – un’ex officina bergamasca per la riparazione di autocarri pesanti –, “Romancitysm” è il classico disco-pretesto per potere offrire, anche su solchi fissi, la freschezza e l’esplosività del live. Per impressionare, impressiona. Quanto a conquistare…

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