V Video

R Recensione

7/10

Franco Battiato

Juke Box

Nel 1978 Battiato diede alle stampe un disco, pensato quale colonna sonora del telefilm “Brunelleschi”, che oggi rinnega apertamente. I sei brani di “Juke box” furono infatti rifiutati dalla produzione cinematografica perché ritenuti inadatti, certamente troppo odiosi e sperimentali per la diffusione televisiva. Questa fu certamente una sconfitta per il musicista siciliano, sconfitta che lo ha portato a ripudiare questo disco e a pubblicharne un altro nello stesso anno, quello sì magistrale. Il telefilm sulla vita di Filippo Brunelleschi andrà comunque in onda su Rai 2 sonorizzato con alcuni estratti da “Pollution” e “Sulle corde di Aries”, e da altri frammenti di Luciano Berio, Olivier Messiaen, Keith Jarrett, Terry Riley e Igor Stravinskij.

Se è vero che il telefilm sull’architetto rinascimentale diede nel 1978 un grosso dispiacere a Battiato, nel 1990 un altro film TV sullo scultore manierista Benvenuto Cellini lo riabiliterà definitivamente come compositore di colonne sonore. Fatto sta che in “Juke box” appare per la prima volta il maestro violinista Giusto Pio, compagno di tanti futuri successi, da “L’era del cinghiale bianco” a “La voce del padrone”, fino ad arrivare ad “Unprotected” del 1994.

Il primo brano del disco è “Campane”, per soprano (Alide Maria Salvetta), violini (Giusto Pio) e pianoforti (Antonio Ballista) diretti da Roberto Cacciapaglia. Qui parliamo di una prova di voce assimilata alle scale di violino ma soprattutto alla progressione pianistica. Una bellissima coda, che ricorda “Cafè-table-musik”, ci introduce a “Su scale”, per voce, coro e due pianoforti, il secondo dei quali in sovrapposizione, suonato dallo stesso Battiato, uno che con lo strumento a tasti ha preso dimestichezza in tarda età. È questo uno dei pezzi più discutibili del disco, anche a causa d’una voce querula che non si capisce bene cosa voglia significare oltre il mero gioco di diplofonie. Arriva “Martyre cèleste”, per due violini, col fido Pio in sovrapposizione, e l’azzardo avanguardistico diventa regola: enarmonia, contrappunto, diatonia.

L’unica canzone, formalmente definibile così, è “Hiver”, per soprano e pianoforte, che prende il largo da un’omonima prosa della scrittice svizzera Fleur Jaeggy contenuta ne “Le statue d’acqua” (1980), di cui citiamo un frammento (che la Salvetta canta in francese): «Gustav apriva le finestre per lasciar entrare aria fresca nelle stanze e, quando nevicava, il vento soffiava la neve, come strappata dagli alberi, verso di noi, e tutti e due, seduti sul letto, aspettavamo che l’inverno continuasse».

Prima dell’onanismo violinistico di “Telegrafi”, il punto più alto di “Juke box” viene toccato nell’“Agnus”, per voce, soprano, nove violini, due trombe e pianoforte. Qui il concetto evangelico dell’agnello di Dio, la Pasqua, solitamente espresso da una litania, è superbamente reso da un pianoforte che si fa arpa, posato su soavi frequenze di tromba, e dal vero e proprio belato di Juri Camisasca, addolcito dalla Salvetta, la quale ci offre una maestosa prova del suo talento vocale. Una parte della melodia dell’“Agnus” proviene dalla prima stesura di “Stranizza d’amuri” (1975), che troverà infine posto ne “L’era del cinghiale bianco” (1979).

Anche se Franco Battiato non considera suo questo album, noi ne traiamo le note positive e idealmente lo dedichiamo alla bellissima Alide Maria Salvetta, scomparsa nel 1991, valente e misconosciuta soprano della musica italiana, nonché donna di superiore bellezza estetica.

V Voti

Voto degli utenti: 4/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.