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R Recensione

7/10

Maryposh

La Luna Insegue il Sole

Pochi secondi e la sensazione invasiva e manifesta è di trovarsi dinnanzi ai Tool italiani. Distorsione della chitarra, riff, drumming, alterazione vocale. Tutto sembra ricondurre alla band californiana. Sembra.  

"Angelo Nero" è invece la prima traccia del disco d’esordio dei Maryposh, cinque musicisti veneti che esordienti, in realtà, non lo sono per nulla. Nel giro già da diversi anni e con svariate band all’attivo, sotto il nome Maryposh hanno faticato e girovagato a lungo prima di poter dare alla luce il risultato del proprio io artistico e creativo, fino a decidere di produrre personalmente (e con risultati più che apprezzabili) il loro primo full-lenght album (anticipato dall’EP Controvento, uscito un paio di anni or sono). Il combo veronese prevede la deliziosa ugola di Veronica Marchi (che oltre a vantare una voce splendida di mestiere fa la cantautrice, nonché la pianista), il chitarrista Diego Spezie, mente e omni compositore di musiche e liriche del disco, il bassista Daniele Campolongo, Bruce Turri alla batteria e Laura Masotto al violino. Cinque musicisti notevoli e affiatati, prima di tutto, ottimo mix di pragmatismo e classe.

Detto della forviante sensazione di iniziale somiglianza con la band di Keenan, nel proseguo del disco i Maryposh dimostrano una certa personalità e l’apprezzabile capacità di risultare al contempo immediati e sofisticati, ruvidi e delicati. La luna insegue il sole è infatti un album di contrasti, un gioco di luci e ombre e di suadenti inseguimenti. La rudezza della chitarra che rincorre soavi vocalizzi, il vigoroso drumming che accompagna oniriche armonie di violino e pianoforte. Rock al contempo alternativo e classico, con derive dark e post-grunge appena accennate, che sa colpire diretto con riff gagliardi e refrain trascinanti, o avvolgere in uno sfuggente abbraccio con celestiali arie melodiche. Punto di forza risulta la superba eloquenza vocale di Valentina Marchi, che interpreta ed emoziona con una timbrica pungente, non troppo rock ne mai completamente pop, e il superbo stile del batterista Bruce Turri, il cui tocco robusto e ramingo costituisce un reale valore aggiunto in termini di verve e dinamismo.

Detto dell’introduttiva e splendida "Angelo Nero", da tempo nota ai seguaci di lungo corso dei live della band, i migliori capitoli del disco si identificano nell’aitante rock soft-psichedelico di "Conformista", nel delicato intimismo dell’eterea "Giunco", e nell’intensa e malinconica "Il Mare Luccica". La qualità resta medio-alta lungo tutto il disco, che si snoda attraverso undici canzoni sapientemente arrangiate e ben suonate, tra le quali spiccano "Purezza", "Gelosia" e "Libellula", meno ricercate e peculiari ma altrettanto efficaci.

Maryposh è un progetto meritevole di attenzioni, un collettivo consapevole e preparato, il cui sound multiforme ma compatto risulta più vintage che moderno, prego o difetto che sia. I richiami ai Tool, pur diradandosi nel corso dell’album, restano qua e la ancora riscontrabili, mentre si intravedono (più o meno) vaghe affinità con l’opera degli Scisma e dei sottovalutati Miura. La Luna insegue il sole è un album godibile, appassionato, e i Maryposh appaiono simili ad un buon vino, fiero e conscio del proprio gusto delicato, che se saprà “invecchiare” nel modo giusto potrà riservare diverse soddisfazioni sensoriali a chi avrà voglia (e diletto) di assaporarne la fragranza.    

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