Isis
Wavering Radiant
È curioso notare come parte considerevole dei gruppi del cosiddetto filone atmospheric sludge (comunemente detto post-core, una definizione che, a ben vedere, vuol dire tutto e niente) stia stringendo legami sempre più forti col post rock. Sempre più evidente è la tendenza a dilatare le atmosfere, ad ammorbidire i suoni, adottando un riffing sempre meno slabbrato e dimpatto. Era già successo con i Neurosis di A Sun That Never Sets e, soprattutto, The Eye Of Every Storm, anche se il disco che pare abbia definitivamente sancito questo cambio di tendenza nellambito è il tanto acclamato ed osannato Panopticon degli ormai vituperatissimi Isis. La band di Aaron Turner, considerato ormai un vero mostro sacro della musica pesante moderna, ha perso di violenza e dimpatto album dopo album, in favore di un suono sempre più psichedelico e dalle tinte delicate (sempre che questo aggettivo possa calzare per un genere comunque piuttosto ruvido e pesante). Lontani ormai sono i tempi del debutto Celestial, disco palesemente debitore della lezione impartita dai Neurosis di Through Silver In Blood: ora le influenze di Mogwai, Sigur Rós e, perché no, anche Slint, sono di gran lunga più rilevanti.
Questo nuovo Wavering Radiant conferma sostanzialmente quanto detto sopra, presentandosi come unideale via di mezzo tra Oceanic (2002) e In The Absence Of Truth (2006). Le sette tracce qui proposte ribadiscono quanto di buono fatto in precedenza dai nostri: brani molto lunghi, immersi in atmosfere sognanti, liquide e vagamente malinconiche, che salternano alle classiche esplosioni di violenza tipiche del genere, ricorrendo al muro di chitarre distorto e noisy. Ancora più accentuato che in passato è lutilizzo delle tastiere, che giocano un ruolo decisivo nellopener Hall Of The Dead e in Ghost Key, anche se vengono impiegate in quasi tutte le tracce (la title-track è un intermezzo ambient di neanche due minuti solo tastieristico). Anche luso delle vocals pulite è un elemento messo ancora più in rilievo rispetto alle ultime prove, segno che anche i Tool devono aver riscosso un certo fascino nelle menti dei nostri, come nella già citata Hall Of The Dead, ma anche nella ruvida Stone To Wake A Serpent, che mi ha ricordato molto da vicino composizioni come Other e False Light (periodo Oceanic, per lappunto).
In sostanza, gli Isis di sempre, verrebbe da dire; pertanto, se i fans della prima ora non impiegheranno molto tempo ad amare questo nuovo parto di Aaron Turner e soci, quelli che cercheranno qualcosa di nuovo o qualche sbocco creativo differente rimarranno un po delusi. Quello che è il limite più grosso di Wavering Radiant è infatti lodore di dejà senti che traspare lungo i suoi 54 minuti di durata, e che questa volta comincia ad essere forte e non gradevolissimo. Un sintomo che, a ben vedere, sta affliggendo buona parte delle uscite sludge/post-core degli ultimi anni (per ora, lunico disco uscito di recente che mi abbia lasciato un ottimo ricordo è stato Wake/Lift degli emergenti Rosetta), e che sta producendo dischi che, esagerando un pochino, cominciano a confondersi luno con laltro.
Con questo non voglio dire che Wavering Radiant sia un brutto album, anzi, è una buonissima prova di una delle band migliori uscite negli ultimi 10 anni, ed anche se dai più grandi è lecito aspettarsi grandi cose, lascolto è vivamente consigliato a chi ha familiarità con le sonorità qui proposte.
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