Serpe In Seno
Serpe In Seno
Per anni, molti anni, i Serpe In Seno (da non confondersi con unomonima crew hip hop della Capitale) sono stati il nome di punta dellunderground veneto che più underground non si può, il segreto di Pulcinella del nord-est cementificato formato Louisiana, il magico duo strumentale autore di devastanti anthem salomonici quali Punk Is Dad o Joy The Paperboy, la live band da vedere a tutti i costi anche senza il conforto o il supporto di una registrazione su formato fisico. È tra il 2012 e il 2013 che la storia di Simon Testamatta e Roberto Olivotto sintreccia più fittamente con quella dei concittadini Elettrofandango, autori del discreto In Quanto Già Peccato (2009), la cui attività dal vivo comincia lentamente a scemare poco dopo la pubblicazione dellultimo EP Achab (2012): è in questo frangente che lesule Giovanni Battista Guerra trova asilo in casa Serpe In Seno. Due le conseguenze, entrambe di notevole importanza: lallargamento fisiologico della line up originaria e limplementazione del cantato seppur sui generis, non convenzionale in una formula che fino a poco prima non prevedeva voce alcuna.
Non saprei dire se ci possano essere dei punti in contatto e quanti o quali possano eventualmente essere con lallora fan di Elio E Le Storie Tese in ascolto di Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu, ma entrare in contatto con il s/t desordio dei Serpe In Seno a undici anni dalla loro nascita ufficiale provoca un certo straniamento: perché arriva, per come arriva. In un certo senso, azzarderò, ci si era quasi convinti a non doversi aspettare un disco da Testamatta e Olivotto (lesistenza della band prescinde da e, anzi, tende quasi ad escludere la produzione studio), né tantomeno un disco con queste caratteristiche, stravolto e forse minato nella sua più profonda essenza. Intendiamoci: la cubatura del suono curata, non a caso, dallonnipresente Giulio Ragno Favero rimane sempre voluminosa e a tratti frastornante, coraggiosa nel suo rifarsi a certi modelli (Helmet, Unsane, i Melvins di Ozma e Houdini tra gli altri) che in Italia, almeno al momento, non trovano molti proseliti. Linterplay basso-batteria, scorticante come pochi, regala momenti di grande coinvolgimento: mirabile il continuum tra la strumentale rumoristica dapertura e Ovoviviparo, che sul finale sembra quasi elevarsi in un ipnotico e spigoloso rāga stoner metal, mentre Promessa smussa il suo tellurico groove Faith No More con un sulfureo ritornello vicino a certo alt rock italiano degli anni 90. Listrionismo interpretativo di Guerra, autore di testi caustici e colti che non sembrano aver perso unoncia del senso scenico di un tempo, mette poi le ali alla fangosa mini pièce di Un Castigo, giocando infine sul filo teso del maledettismo bohème nellimpetuoso blues-core di Laudano.
Lo specifico problema critico è che il trio in azione oggi fatte salve alcune caratteristiche essenziali ha davvero poco a che spartire con il duo di un tempo. Tanto diretti e deraglianti questi, quanto sovrastrutturali e poco immediati quelli: tanto disimpegnati questi, quanto tendenti ad un certo intellettualismo quelli. Niente di male, in apparenza, se non fosse che il gioco spesso non vale la candela, particolarmente quando il fantasma degli Elettrofandango diviene presenza attiva e perturbante (il pencolare scapigliato de La Ballata Del Vile, i frusti fumi orgiastici di Messalina) o gli orpelli elettronici gratuito fonosimbolismo in cerca di profondità (la parte centrale di Mont-Saint-Michel arranca vistosamente). E vanno bene dissociazione e frammentazione, ma la compresenza del malefico crescendo assordante di Dea Del Fuoco con Figlia Di Mercurio (un funk metal dalla voce grossa e dallinopportuna volizione letteraria) aggiunge solo confusione a confusione.
Uningombrante incompiuta. Data anche la non irrilevante attesa, peccato.
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