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R Recensione

5,5/10

Julie’s Haircut

Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin

Dalla conquista di spazi alla conquista dello spazio: un sottile passaggio di numero in cui c’è tutta la differenza di questo (e dell’altro) mondo. Nell’ormai ricca discografia dei Julie’s Haircut, la solida batteria in controtempo di “Sister Pneumonia” continua a marcare la misura di uno smottamento epocale: l’esatto momento in cui la band modenese abbandona la ricerca di una spasmodica visibilità di facciata e comincia a ripensare alacremente i meccanismi interni del proprio suono, permutando i limiti della forma canzone nelle possibilità espressive del flusso di coscienza. È il sassolino che diviene valanga, una scalata inarrestabile che – proprio a partire dal sottovalutatissimo “After Dark, My Sweet” – coniuga ermetismo formale ed evocazione sensoriale, sperimentazione ed internazionalizzazione: un’idea di psichedelia esoterica sempre meno ancorata all’Italia e sempre più ricettiva verso l’estero. La transizione, già in stadio avanzato col doppio “Our Secret Ceremony” (2009) e ulteriormente rifinita con le istanze policrome di “Ashram Equinox” (2013), arriva oggi al suo zenith con “Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin”, prima uscita per Rocket Recordings e primo full length con sax stabilmente incorporato in formazione (lo suona Laura Agnusdei, ex componente delle brillantissime meteore Sex With Giallone da cui, giusto per mettere i puntini sulle i, è fuoriuscita anche Caterina Barbieri).

Sulla scia della tacita tradizione che riconosce una certa prominenza al brano d’apertura di ogni loro nuovo LP (basti citare, nel recente passato, “Sleepwalker” o “Ashram”), per “Invocation” i Julie’s Haircut si giocano la carta della più ambiziosa suite da loro mai composta. “Zukunft” rotola, per undici minuti e mezzo, su bassi kraut e oscillazioni minimal di tastiera, solidamente imbragata in una navicella di jazz elettrico (gli essenziali fraseggi di Agnusdei stanno a metà strada fra Dana Colley e Wayne Shorter): il risultato, anche per l’ottima gestione delle dinamiche ritmiche, è non meno che esaltante. Solo un’altra delle composizioni qui presentate riesce a spingersi oltre: “Deluge” è uno space-bebop aperto e concluso dal bagliore accecante di chitarre trattate à la “Brainstorm” che, nel mezzo, vengono risucchiate da un improvviso vuoto d’aria. Potrebbe essere il promettente preludio alla costituzione di nuove, inedite prospettive, ma è precisamente in questo istante che si esaurisce la portata dirompente del disco.

Quanto segue, difatti, oltre a non essere entusiasmante, non aggiunge nulla di nuovo al corso recente del gruppo, che si limita ad amministrare con oculatezza i risultati maturati e a giocare di sponda. L’avanzare ieratico e corale di “Cycles” (fuori luogo, qui e altrove, le voci) si calcifica a partire da una giustapposizione di arpeggi di banjo, che il generoso intervento della solita Agnusdei non dispensa dal paragone diretto con la Squadra Omega de “Le Nozze Chimiche”: così anche “Koan”, uno scheletrico ed irrisolto madrigale che esibisce fior fiore di percussioni etniche. La bandiera del less is more, costante ormai risaputa, viene più volte piantata direttamente tra le costole della sezione ritmica. Il minimalismo tribale, post-velvettiano (ma alla maniera degli White Hills) è, di fatto, l’unico motivo portante di una “The Fire Sermon” che, tra iperventilazioni noise e miastenie free jazz, rimane lontana dai crismi della memorabilità: la tensione piezoelettrica di “Salting Traces”, per converso, lievita su poliritmi motorik poco funzionali alla causa. Fra i due estremi, “Orpheus Rising” si concede una discreta deviazione exotic-dub, come dei Peaking Lights bene imbrigliati.

Scrive il leader Luca Giovanardi che la sua formazione sceglie il formato dell’improvvisazione per “trovare” strada facendo quelle canzoni prima composte a tavolino: un procedimento sulla carta interessante, se non fosse che la qualità è altalenante. “Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin” è, sostanzialmente, un disco di transizione che, nei suoi momenti meno felici, lascia intravedere qualche segno di precoce conservatorismo. Seguito a settembre dal singolo “Burning Tree”, che contiene anche un remix di “Orpheus Rising”.

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Cas alle 18:43 del 20 settembre 2017 ha scritto:

Visti dal vivo pochi mesi fa: bravissimi. L'album invece mi annoia fin dal primo pezzo...