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R Recensione

8/10

Agalloch

Pale Folklore

A volte, capita di riascoltare un disco dopo anni che non lo si prende in mano. Un disco che magari hai accantonato da qualche parte, in mezzo alla tua collezione di dischi, che hai ascoltato tanto tempo fa perché ha rispecchiato un momento particolare della tua vita, o per chissà quali altre ragioni. E dopo tanto tempo, lo ripeschi dal dimenticatoio in cui l’avevi inconsciamente buttato, lo rispolveri, lo guardi e lo rimetti su. E riprovi le stesse identiche emozioni che hai provato la prima volta.

È esattamente quello che mi è successo con il debutto degli statunitensi Agalloch. Avevo 17 anni quando sentii per la prima volta questo album, incuriosito da un paio di recensioni che avevo letto casualmente per Internet, e rimasi impietrito dalla sua bellezza. Ebbene, ora ho 21 anni, l’ho ripreso in mano proprio recentemente ed ho rivissuto le stesse identiche sensazioni di 4 anni fa.

Formatisi nel 1995, gli Agalloch sono uno di quei gruppi che non hanno mai avuto il successo che avrebbero meritato, oscurati dalla fama di band che al contrario valgono molto meno di loro. Ma com’è noto, la fortuna non arride a tutti, e purtroppo i nostri sono stati rilegati a gruppo “di seconda mano” nonostante il loro talento. Il genere proposto è un doom/death metal dalle tinte fortemente gotiche ed autunnali, debitore della lezione impartita da grandi nomi quali My Dying Bride, Opeth e Katatonia, ma che non nasconde certi richiami al post-rock (influenza che verrà poi sviluppata con i successivi “The Mantle” e “Ashes Against the Grain”), alla musica psichedelica ed a certa dark wave di ottantiana memoria (The Cure su tutti).

Pale Folklore” è il disco di debutto, uscito nell’ormai lontano 1999, ed è stato quasi completamente ignorato da critica e pubblico. Solo ora, con il successo delle loro successive prove, qualcuno sembra essersi accorto di loro, ed ecco che finalmente anche questo cd ha cominciato a venire fuori dall’oblio nel quale era stato gettato.

Un album passionale, romantico, tagliente e profondo, intriso di atmosfere autunnali e malinconiche. Il suono pare immerso in una costante nebbia, quella che avvolge i mesi d’ottobre e novembre in un grigio pallido e freddo, quando strade e marciapiedi sono coperti di foglie rinsecchite di colore verde spento.

Ed è proprio questa l’aria che si respira sin dalle prime note di “She Painted Fire Across the Skyline”, lunga suite di quasi 20 minuti (divisa in 3 parti) che alterna muri di chitarra distorti e pesanti a parti acustiche cristalline ed intimiste, degne degli Opeth più spontanei e poetici (quelli di “Morningrise”, per intenderci). Il growl è gracchiante e gelido, dal sapore vagamente black metal, ma mai sgradevole o fuori luogo; al contrario, si sposa bene con la musica prodotta.

E dopo la strumentale “The Misshappen Steed”, pezzo ambient dalle tinte dark, si arriva al cuore del cd, quello vero, pulsante, dove emerge tutta la maestria dei nostri nel creare atmosfere tristi e depressive senza mai annoiare l’ascoltatore. Brani come “Hallways of Enchanted Ebony”, la funebre “Dead Winter Days” o la conclusiva “The Melancholy Spirit” travolgono l’ascoltatore con violente accelerazioni e dolci arpeggi riflessivi, ma senza tradire lo spirito gotico e maligno che caratterizza tutte le composizioni dell’album. Uno spirito che naturalmente si riflette anche nelle liriche, dove la natura assume connotazioni oscure e sinistre, e diventa metafora della morte, del dolore e della sofferenza umana.

In definitiva, “Pale Folklore” è uno dei dischi metal più belli del decennio scorso, che nulla ha da invidiare a nomi ben più noti ed acclamati, sebbene sia un disco fortemente derivativo. Un album da far ascoltare a chi crede che l’universo dell’heavy metal sia solo rumore e tecnicismo sconclusionato, e sono pronto a scommettere che potrebbe appassionare anche i più scettici di voi. La perfetta colonna sonora di chi ha vissuto un amore andato storto o finito in delusione, una medicina che, se in un primo tempo allieva le vostre pene, una volta finito l’effetto le acuisce ancora di più, facendovi sentire ancora più soli e tristi.

 

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Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 9 voti.
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angelscof 8,5/10
luca.r 7/10

C Commenti

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TheManMachine (ha votato 8 questo disco) alle 8:57 del 2 agosto 2010 ha scritto:

Ogni disco degli Agalloch è importante, ha lasciato un segno. Almeno finora. Bravo Mattia, complimenti.

Nucifeno, autore, alle 14:37 del 2 agosto 2010 ha scritto:

Grazie ManMachine. Sono contento che ci sia qualcuno che apprezzi questi dischi per certi versi "dimenticati", talvolta lasciano il segno anche più di tanti album osannati e pluri-osannati.