V Video

R Recensione

8/10

OM

God Is Good

OM è lo spirito divino, la sillaba creazionista, il la che diede inizio a tutto.  

È, in fondo, tutta questione di suono. Tantrico, oscuro, primitivo, sabbatico, e giù ad aggettivare con il sinonimi/contrari aperto sulle ginocchia. Non aspettatevi niente di più, ma soprattutto niente di meno, dal duo più chiacchierato – a ragione, s’intende – della scena doom mondiale di sempre. Basso e batteria: non serve altro per dare voce alla terra, all’oscurità, all’iniziazione. Strumenti che si intrecciano in morenti anse osmotiche, come preghiere pagane rivolte ad un Dio di non specificata estrazione culturale, o resi spietati, marmorei, impettiti dagli amplificatori, dopo aver fracassato in terra le adamantine lastre sinaitiche dei Dieci Comandamenti. Ribellione e catarsi. Ma ribellione catartica o ribelle catarsi? Non c’è molta distinzione, anche se una sorta di rispetto di fondo, che anima con un fruscio – o un respiro, per rimanere in argomento – la musica degli OM, è avvertibile in entrambe le situazioni.  

Emil Amos è il batterista che darà un senso, in un futuro quanto mai prossimo, alle vostre meditazioni.  

La notizia, improvvisa, della defezione di Chris Haikus, arrivata immediatamente dopo l’incisione del discreto “Pilgrimage”, giusto un paio d’anni fa, aveva gettato nello sconforto i seguaci – termine quanto mai azzeccato – del gruppo, convinti di stare per assistere allo scioglimento definitivo. L’intero tour, allora, era stato cancellato. Motivo in più, se non si fosse capito, di considerare “God Is Good”, ça va sans dire, una vera e propria manna dal cielo. D’altronde, il già citato Amos non fa nulla per diminuire l’aspettativa, promettendo “new and more varied instrumentation on the new record” che, per un lavoro del filone, si può grossomodo tradurre come una ricerca spasmodica e senza confini dell’effetto più distensivo, estatico e psichedelico applicabile su mattoni heavy stoner circolari ed ossessivi.    

Il disco, finalmente.  

Solo perché ci piace attentare alle coronarie altrui con affermazioni del tutto circoscrivibili ad un gusto personale – oppure no – ci rilasseremo, seguendo il basso ipnotico di Al Cisneros, e con tutta calma diremo di essere davanti alla migliore prova di sempre degli OM. Il che, con molta probabilità, è del tutto vero, in quanto le dichiarazioni della new entry, per una volta lontane dal costruire castelli di illusioni in the name of selfpromotion, si rivelano essere azzeccate. Non vuol dire, per questo, che ci troveremo con una manciata di ballate folk in pugno, ma nemmeno lo avremmo voluto. A vedere da fuori, tutto sembra rimasto immutato rispetto ai segnali precedenti: quattro tracce, mezz’ora o qualcosa in più di durata totale, copertina mistico-bizantina e motivo di terrore concentrato per l’agnostico doc. Non è così, e cominciate a segnare già sulla stecca dei numeri un vantaggio considerevole (non sei, undici, coglionazzo!).  

Ciò che in “Pilgrimage” lo avevano detto – anche un po’ a fatica – la title track e “Unitive Knowledge Of The Godhead”, qui viene riassunto alla perfezione dal mammut sludge di “Thebes”, quasi venti minuti di raccoglimento dove litanie, versetti, salmi vengono sciorinati, in assoluta concentrazione, dentro un iperspazio di vuoto galleggiante, presto – è un modo di dire - squarciato da un pesante martellare che si trascina, Moloch del Nuovo Millennio, in un’orda di polvere, lentezza e calore. Amos è assoluto protagonista, metronomo dalle oscillazioni cannabinoidi per cui ogni colpo, ogni tamburellare, ogni ricorrere ai piatti risuona, propriamente, come il Verbo della Genesi. “Meditation Is The Practice Of Death” attacca subito la trance appena interrotta, ma il mood è sensibilmente diverso, meno terreno e più astratto, aereo, fluttuante: la cateratta di flauti che scivola, angelica, sui ritmi funerei del duo, è di un’evocazione sconvolgente.

Metamorfosi, da tangibile gravezza fisica a spettacolare pirotecnia psichedelica, che assume forme e connotati squisitamente nuovi nell’ultimo dibattersi di “Cremation Ghat”, suddivisa in due brevi atti. Tom, handclappin’, linee di basso, qualsiasi cosa che aiuti a trainare lo sviluppo del pezzo verso una scansione invasata, sorda, vivace ed incalzante (“I”) guidano poi ad una salita tortuosa, rigenerante, dove il sitar musica una soundtrack d’altra dimensione per un film sulla vita di Castaneda e del suo alter-ego, il maestro Don Juan (“II”). Trascinante quanto ineccepibile, ci dà la possibilità di conoscere gli OM più suggestivi che, forse, nelle ultime prove avevamo un po’ lasciato da parte, per abbracciare la reiterazione sonora pura e semplice. Scontato dire che il disco si inerpica, senza fatica alcuna, sul trono del doom 2009.

God Is Good”, certo: ora possiamo fregiarci di averlo sempre saputo...

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 5 voti.
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luisao 7/10
ThirdEye 8,5/10

C Commenti

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Luca Minutolo alle 9:57 del 8 ottobre 2009 ha scritto:

Questa svolta "ambient" degli OM mi è piaciuta molto.....

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 18:38 del 10 ottobre 2009 ha scritto:

Bello bello bello. Come i Kyuss dopo un calpo di calore seratoninico (eh?)

Grande Marco.

simone coacci alle 10:50 del 11 ottobre 2009 ha scritto:

Lo sto ascoltando esattamente ora, mentre scivo. E devo che questa specie mutante di stoner-zen-ambientale mi sta facendo una magnifica impressione. Mi sa che Bisio ha fatto centro ancora.

PS: Blow Up, questo mese, ha messo il duo in copertina. Anche se poi al disco danno solo 7.

loson (ha votato 6 questo disco) alle 11:54 del 11 ottobre 2009 ha scritto:

Apprezzo lo sforzo di introdurre nuovi strumenti nella "formula", ma il risultato non è poi molto distante da "Pilgrimage", anche se quello pullulava di atmosfere gotiche e qui c'è più serenità zen (che in questo caso fa rima con noia). Non riesco nemmeno a percepire un apprezzabile diversificazione nelle ritmiche, dato che lo stile del nuovo batterista è solo leggermente più fiorito di quello precedente. Insomma, in "God Is Good" io leggo una continuità per nulla scalfita da queste presunte variazioni infinitesimali. Poi vabbè, il gruppo non l'ho mai gradito più di tanto: troppo monotoni e monolitici.

Ivor the engine driver (ha votato 8 questo disco) alle 16:18 del 12 ottobre 2009 ha scritto:

devo capire se mi piace + o meno del precedente, che al contempo non capivo se mi piaceva + di quello prima ancora, Conference of the Birds (il disco con At Giza insomma). Però già il fatto che ci suoni Amos dei Grails mi aveva fatto capire che poteva essere qcosa di diverso (Burning Off Impurities dei Grails può essere affine al discorso simil religioso degli OM.)Insomma qualcuno mi capisca.

simone coacci alle 16:25 del 12 ottobre 2009 ha scritto:

RE:

Io t'ho capito. Anche perchè, ora che mi viene in mente, recensii "Burning Off Impurity", quando uscì, un botto di tempo fa.

Ivor the engine driver (ha votato 8 questo disco) alle 16:28 del 12 ottobre 2009 ha scritto:

grazie per la comprensione, tra l'altro lo recensii anche io al tempo, te su onda.... (scusate non riesco a scriverlo)

simone coacci alle 16:37 del 12 ottobre 2009 ha scritto:

RE:

No, no, qui mi pare. Anzi, ne sono quasi sicuro.

Marco_Biasio, autore, alle 16:58 del 12 ottobre 2009 ha scritto:

A Psycho, secondo me "Pilgrimage" invece era una mezza sola e questo fa il culo a tutti.

Ivor the engine driver (ha votato 8 questo disco) alle 17:02 del 12 ottobre 2009 ha scritto:

non so Marco, pilgrimage lo avevo ritirato fuori questa estate torrida, e mi stava piacendo, però l'unica volta che ho sentito questo non mi è sembrato molto differente, mi riferisco a Thebes. Per ora di sicuro mi piacciono le tre tracce finali, soprattutto l'intro di Cremation Ghat col battimani....a campionarla ci si farebbe un bel pezzo ballabile, giro di basso compreso!

Ivor the engine driver (ha votato 8 questo disco) alle 12:27 del 3 dicembre 2009 ha scritto:

bello sto disco, in vinile fa la sua porca figura oltretutto. Dritto nella mia top 5 dell'anno!

ThirdEye (ha votato 8,5 questo disco) alle 10:45 del 30 agosto 2013 ha scritto:

Disco bellissimo. Ricordo ancora la bile che mi venne quando lessi la recensione su quel "sito" di fighetti (per non dir peggio) di Ondarock..Andassero ad ascoltarsi le next big thing inglesi che durano un mese invece di sputare sentenze deliranti su grandi band..