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R Recensione

6/10

Lento

Icon

L’affaire Supernatural Cat, parte ennesima. Seguo l’etichetta di Malleus da, ormai, un congruo numero di anni, e per buone, buonissime motivazioni. Distribuisce musica che mi piace: argomentazione banalizzante. Allora riproviamoci: cerca di non scadere mai nel banale, pur visto e considerato il Paese in cui è costretta ad operare ed il genere su cui ha deciso di scommettere. Già meglio. Qualcos’altro da dire? Essendo una realtà sorta da, relativamente, poco tempo, non ha ancora quel parco artisti sconfinato ed insapore di molte concorrenti: questo permette di scremare sul posto, all’istante, i gruppi non meritevoli di attenzione. Infine c’è un mio tarlo, una mia piccola fissazione, che sono però quasi sicuro essere giusta: in veste essi stessi di musicisti, con il monicker degli Ufomammut, hanno avuto sicuramente modo di sviluppare un stretto rapporto, poco meno che filiale, con i loro protetti, generando – in lungo e in largo –  una santa alleanza doom, musicale e professionale. Considerazione non da poco.

I romani Lento, all’interno della famiglia sino a qualche tempo fa (è recente il trasferimento per la tedesca Denovali), sono sempre stati la carta del compromesso, il jolly da investire nel caso di ricezione da parte del grande pubblico, poco avvezzo ai monoliti della band madre, alle follie traslucide dei MoRkObOt e alle disarticolazioni forzate degli Incoming Cerebral Overdrive (per non parlare poi degli ultimi arrivati, gli OvO: prossimamente ci sarà da ridere…). Lungi dal tradire la fedeltà autoriposta in un nome che è garanzia, con “Earthen” si erano rivelati la faccia italica post metal dello sludge, che affonda mazzate poderose ed in cambio porge cerotti atmosferici dalla copertura non indifferente. Il classico colpo al cerchio e alla botte: band e disco certamente non malvagi, ma di rilievo minore in un’economia generale di tutt’altro livello, forte con i forti e rude con i rudi. Era quindi lecito aspettarsi qualcosa di nuovo, di più se non di meglio: aspettative, custodite in “Icon”, purtroppo deluse.

Non ci vuole poi molto a capire quale sia la sfortuna sostanziale del disco. Per chi, negli ultimi tempi ma soprattutto nel decennio passato, si è nutrito quotidianamente di questo tipo di musica e della sua attitudine nel realizzarlo, non potrà trovare nulla di interesse specifico. I neofiti, dal canto loro, si accorgeranno sin dalle prime battute, quelle che accompagnano la lugubre psichedelia di “Hymn”, che il gioco ad incastri tra il possente rifferama metallico e le meditazioni trascendentali in esso cresciute non è certamente la migliore summa relativa al movimento. Il marchio di fabbrica della casa è, a tratti, inconfondibile, capace di regalare piccole gioie per gli appassionati: “Hymen” ha le implacabili distorsioni dei Krux e la selvaggia elettricità del black metal, “Still” è un prog-doom infarcito di alienanti dissonanze (come “Least”, che si ripete però in tono minore e rigorosamente monocromo). Tuttavia sono pochi gli scossoni, ancor meno le sorprese. Tutto si svolge nell’ordine previsto e, seppur ben suonato, non riesce a lasciare il segno.

Questo valga per il rettangolo nero della copertina. Un discorso – meritato – a parte per il contrasto grigio. Deposte le chitarre, o attenuato di molto il loro potere distruttivo, i Lento si ritrovano ancora una volta tra le mani il loro lato ambientale, decidendo infine di assecondarlo. I pezzi che ne scaturiscono, probabilmente pensati all’inizio come spartiacque e momenti di pausa tra un attacco e l’altro, divengono invece i più convincenti di tutto “Icon”. “Throne” è tessuta in un emozionante minimalismo, un flusso di drone dalle minime variazioni ben memore della lezione dei maestri Stars Of The Lid. “Admission” riesce ad andare oltre, a sintetizzare in musica il velo di immobile sacralità che pervade ogni fibra del disco, pur non esplicitato chiaramente tra le mura di chitarre ancora troppo acerbe. La title track è l’unico (ultimo?) baluardo in cui un colore sfuma nell’altro, e le ricerche nei due campi diventano una cosa sola: le lancinanti tirate da power trio si dissolvono nell’etere, spiralizzando l’attacco frontale in un’unica, ipnotica movenza dark ambient.

All in all, it’s just another brick in the wall.

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Cazzaniga alle 10:33 del 18 giugno 2011 ha scritto:

Guarda che questo mica esce per Supernatural, ma per la Denovali Records. Per fortuna che dici di seguire l'etichetta da anni...

Marco_Biasio, autore, alle 20:01 del 18 giugno 2011 ha scritto:

Grazie per l'informazione, Cazzaniga. Confesso di non aver nemmeno controllato sul web, sapevo che Earthen era stato prodotto da Malleus e compari. Se chi può correggere è in grado di farlo...

Nucifeno alle 12:54 del 19 giugno 2011 ha scritto:

A parte quel piccolo errore....

Bravo Marco, bella rece. Ammetto di essermi allontanato molto dal mondo della musica pesante, tuttavia ancora qualcosa ascolto. Per quanto riguarda i Lento, ne avevo sentito parlare molto bene al periodo del primo album, "Earthen". Potrebbe pure scapparmi una rece se gli do un ascolto...

Nucifeno alle 12:55 del 19 giugno 2011 ha scritto:

A parte quel piccolo errore....

Bravo Marco, bella rece. Ammetto di essermi allontanato molto dal mondo della musica pesante, tuttavia ancora qualcosa ascolto. Per quanto riguarda i Lento, ne avevo sentito parlare molto bene al periodo del primo album, "Earthen". Potrebbe pure scapparmi una rece se gli do un ascolto...