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R Recensione

7/10

MoRkObOt

MoRbO

Lin, Lan e Len sono tre personcine a modo. Meglio: tre messaggeri a modo. Gente un po’ pelata, all’occorrenza lungocrinita, che singhiozza random (avanzi la follia, aleggi la stronzaggine: senza soluzione di continuità) maiuscole e minuscole, si ciba di gatti soprannaturali, mOsTrI e mOrTi. In mezzo alla demenza c’è il significato di fondo: l’aquilifero annuncia MoRkObOt, divinità catodica del Nuovo Millennio che si insinua tra i colpi delle percussioni, le svalvolate dei bassi, le atroci effettistiche delle pedaliere. Può il metallo ridursi ad un livello di nonsense tale da suonare veramente agghiacciante e straniante nella sua idiozia? Da dieci anni la risposta è tricolore: un tricolore extragalattico, per la precisione. Vibrazione di un cosmo sconosciuto. O semplicemente riff in distorsione calato nell’acido. Lin, Lan e Len, dicevamo, queste tre personcine a modo, si limitano a diffondere: nulla di autografo, certo, così come una televisione non potrebbe riprodurre nell’etere un significante partorito di propria spontanea volontà. Ogni gesto è guidato da MoRkObOt e da lui emana il destino della stessa Lodi, pardon, L’odi: è una cazzata se credete davvero che l’amore vinca sempre e comunque.

Tre anni fa la parvenza semiotica, “MoRtO” appunto, aveva le fattezze del nerotinto monolite kubrickiano, quaranta minuti no stop di botta, pausa ed allucinazione in re basso. Non un invito a nozze per i codardi, se vogliamo metterla in altri termini. È nei momenti di terrore, in cui il messaggio si eleva a monumento dell’indecifrabilità criptica e dell’autoreferenzialità insistita (parole spese da altri: a noi il disco piacque), che si rende necessaria un’apertura maggiore: d’accordo la tecnologia, ma com’è possibile che un dio – uno qualsiasi dei settemilacinquecento esistenti da due milioni di anni fa ad oggi – non venga ascoltato come si deve? Da qui l’idea del contagio, della malattia: basta cambiare una lettera, nascostamente, e l’oggetto di culto del Romero di turno si agita, s’alza in piedi, rinasce nell’incubo di una vita non vita, pervaso in tutto il corpo da una inesplicabile forza esterna. Per deformare Camerini, post-hardcore robot, ma di quelli vagamente siderali.

Non è solo il minutaggio ad essersi ridotto, il ritmo a fluire con una scansione più convincente, o semplicemente il songwriting ad aver raggiunto livelli migliori: “MoRbO” osa, dimezza i tempi morti ed aumenta la gamma cromatica sulla tavolozza dei colori. Per cui: se vi piacciono le mazzate nude e crude, i risucchi giocattolosi, gli spietati assalti all’arma bianca che inchiodano al muro e lasciano storditi, in preda ad un’incontenibile giga post-metal, avrete tutto ciò e molto di più, come da tempo la fabbrica insegna. “Oktrombo” lavora su due livelli, per poi mandare a morire la sezione ritmica (perché, nel trio c’è qualcos’altro oltre alla sezione ritmica?) in un carnaio dissonante. “Ultramorth” scarica una sterminata raffica di pallottole al curaro, in una girandola di cambi minimali di timbrica e ritmo, senza perdere un briciolo di dinamismo. “Oktomorb” è l’episodio più ortodosso e doom del lotto, un poderoso e quadrato avanzare che, ad onor del vero, nella premura di mostrare i muscoli non riserva molte sorprese.

I risultati, già notevoli, subiscono un interessante incremento qualitativo con lo spostarsi dell’ago verso atmosfere meno canoniche. Su “Obrom”, semovente post-core segmentato a più riprese, è strepitoso lo studio fatto sui singoli pattern, prima separati in un continuo stop&go, poi unificati per un finale che, a forza di accumulazione, sfiora il noise. “Orbothord” sfuma il suono-MoRkObOt di base in una patina psichedelica a ritmi medio/bassi e fruibilità immediata. “MoR” è il passo decisivo, scollatura definitiva con la convenzione, dove ad una prima parte freak-metal (i Primus protagonisti di Fear And Loathing in L.A.?) si sovrappone un successivo, lungo fluire space di tensione ammassata, repressa e saggiamente non scaricata: gli Hawkwind nel mezzo di un trip lisergico.

Dedicato a tutti coloro che ritengono inutile il ruolo della chitarra elettrica in una band e che si sono stancati di vivere in sole tre dimensioni.

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