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R Recensione

6/10

Split Cranium

I'm The Devil And I'm OK

Impossibile, e forse anche inutile, entrare nel merito e nel credito di tutte le uscite discografiche cui mette mano (e corde vocali) Aaron Turner, una delle personalità artistiche più poliedriche e prolifiche (di ciò che rimane dell’)underground metal americano. Sia sufficiente mettere ordine tra la produzione di recentissima uscita: che, dopo “Bonds Of Prosperity” dei Thalassa, un live inedito dei suoi Isis risalente al 2010 e il doppio squillo dei Sumac d’inizio anno (lo split con Keiji Haino e il live “WFMU”, ma attenzione al nuovissimo “Love In Shadow” previsto per il prossimo mese…), annovera la resurrezione di un altro supergruppo, i poco frequentati Split Cranium, fermi dal trascurabile esordio omonimo di sei anni fa e alle prese con un paio di aggiustamenti in line up (Tomi Leppänen per Jukka Kröger alla batteria, Nate Newton di Converge e Old Man Gloom per Samae Koskinen al basso).

Di tutte le sue incarnazioni, gli Split Cranium rappresentano senz’altro l’anima più bellicosa e lineare della scrittura di Turner, qui coinvolta in un teso e sfiancante gioco crust al rialzo senza, per la verità, troppa fantasia. Qualcuno una volta scrisse che, conoscendo i fondamentali – Discharge, Okkultokrati, Amebix e certi Extreme Noise Terror –, si poteva dire di conoscere con buona approssimazione l’intero genere: analisi severa ma corretta. “I’m The Devil And I’m OK” non nasconde nemmeno lontanamente la sua intenzione di venir marchiato come disco di genere: l’unico, vago elemento di rottura della formula è costituito dai synth gelidi e sacrali di Faith Coloccia (moglie di Turner e con lui già coinvolta negli eterei Mamiffer), una sorta di contraltare al vortice incessante di riff e paradiddle che, a partire dall’iniziale “Evil Hands”, si abbatte con tutta la sua potenza massimalista. Tra mancati anthem oi! amplificati a volumi insostenibili (“The Age Of Embitterment”), midtempo corali che sembrano sfaldarsi e tracimare nel noise (“Ingurgitated Liquids”), brutali monsoni di feedback frastagliati da rientri dark ambient (“Pain Of Innocence”), rovinosi tracolli nel metal (“Death Bed-The Yellow Room”) e melodie aliene a comparire tra uno stop&go e l’altro (“Heavy Daughter”), due sono i brani chiave: il ko tecnico motörheadiano di “Whirling Dusk” – Fennesz al commento dei loro grandi capolavori hard’n’heavy – e la title track conclusiva che, pur durando un minuto di troppo, sviluppa alcune interessanti traiettorie emozionali.

Non dare la sufficienza sarebbe ingeneroso e scorretto, ma nulla in “I’m The Devil And I’m OK” suscita particolare interesse, nulla spicca chiaramente sul resto. La colonna sonora dei momentanei e virulenti accessi d’ira: questo rende forse l’idea meglio di qualsiasi altra descrizione.

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