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R Recensione

6/10

Sumac

May You Be Held

Ed eccolo arrivare, finalmente, il disco di free form metalliche di Aaron Turner e della sua creatura più recente - di certo, una delle sue più destabilizzanti ed impenetrabili. Impressionante, a tratti persino spaventosa la metamorfosi performativa dei Sumac: se ai tempi dell’oscuro esordio “The Deal” (2015) ci si poteva ancora approcciare alla scrittura del power trio statunitense con strumenti critici tradizionali, nel giro di tre full lengths la prospettiva si è radicalmente ribaltata. Ora non più il riff, l’incastro, la sospensione: piuttosto l’atto, il colpo, l’irruzione scenografica. Art metal nella sua forma più pura, si potrebbe chiosare, non fosse per la degradazione semantica di un prefisso ormai incapace di descrivere la realtà cui si applica. L’unico punto fermo nella navigazione è ancorato alle pieghe del recentissimo passato discografico dei Sumac: non esisterebbe probabilmente l’incarnazione all’opera sul monolitico “May You Be Held” (un’altra ora di resistenza fisica oltre ogni umano limite) senza la duplice collaborazione stretta col gran cerimoniere del japanoise Keiji Haino, l’influenza che più d’ogni altra ha contribuito a dissolvere le strutture stilistiche portanti della band e a ridisegnarne il raggio d’azione.

Non rimangono altro che macerie, allora, sin dalla bestiale geremiade avvolta nel filo spinato di “A Prayer For Your Path” che, nei vuoti spaventosi e negli avvallamenti alieni messi a nudo dai feedback, sembra mettere in scena l’atto unico della suicida Butterfly cronenberghiana. Ad attraversare l’intero disco è un filo rosso che manifesta svariati punti di contatto col precedente “Love In Shadow” (2018): la ricerca dell’amore puro, archetipico e totalizzante, unico scudo in grado di proteggere dagli orrori della contemporaneità che, paradossalmente, può essere disseppellito solo prendendo di petto, sfidando e cavalcando quegli stessi orrori (scorrendo il profilo Instagram della band non è difficile comprendere quali siano questi nemici). Compito doloroso, affannoso e sanguinoso: la lama d’acciaio del mono-riff boogie-noise della title track, un call&response luciferino da cui pendono escrescenze di acidi arpeggi post metal, polverizza ogni corpo sulla sua traiettoria. Una boccata d’ossigeno (si fa per dire), un’immersione profonda in scorie radioattive, e la mattanza può ricominciare: è un ringhiare sludge che gira su frequenze ctonie, un buco nero che divora sé stesso, un meteorite che si schianta sulle assi di un palcoscenico. La mise en abyme teatrale è replicata nei diciassette minuti abbondanti di “Consumed”, un autoalimentante organismo metallico che si condensa attorno a miasmatici rizomi chitarristici: il finale è un autentico delirio in crescendo, un’apocalisse d-beat che per ferocia d’esecuzione e volume sonico riesce nell’impresa di alzare ancora più in alto l’asticella dell’esprimibile. Dopo due prove di forza del genere pare superfluo se non inutile aggiungere qualcosa: ed in effetti né l’elettricità statica dell’impro-noise di “The Iron Chair”, né le sfrangiature ambientali di “Laughter And Silence” (Faith Coloccia all’organetto) sono all’altezza del compito.

La questione, tuttavia, rimane sempre la stessa: se non si può non tributare la giusta ammirazione ad un musicista la cui ricerca artistica ha assunto ormai contorni filosofici, la rinuncia radicale ed ascetica alla forma canzone e la scelta di simbolismi sempre più impenetrabili rende inutilmente difficoltosa la fruizione del “nuovo” corso dei Sumac (e chissà, dato il fattoriale sin qui registrato, cosa ci riserverà la prossima prova). Per chi scrive, il loro capolavoro rimane “What One Becomes” (2016), giusta sintesi di soverchiante brutalismo metallico e melodismo alieno. Questo “May You Be Held” fa invece parte delle opere da esibizione: messo in primo piano perché tutti lo riconoscano, ma ben di rado ascoltato.

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Marco_Biasio, autore, alle 13:54 del 8 dicembre 2020 ha scritto:

Nemmeno a farlo apposta, ieri è stato pubblicato un nuovo singolone di 18 minuti per Sub Pop, Two Beasts: . Piuttosto coerente con il trend degli ultimi anni.