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R Recensione

8/10

Death Grips

Exmilitary

Death Grips it's not a rap group, it's scientific research group.

Vi conviene prenderli in parola, e non fare scherzi, se non volete brutte sorprese. O belle, perché no, dipende dai gusti. D’altronde basta dare un’occhiata alla faccia che (ci) mettono in copertina o ai video che postano sul loro sito (www.thirdworlds.net), come se fosse un canale di trasmissione d’emergenza in un mondo prossimo alla catastrofe, per capire che questi tipi non appartengono alla stessa categoria di un Kanye West “il mio lato oscuro: il musical” o di un Lil B “sono gay (nel senso di felice) e me ne vanto”. Questo collettivo underground formatosi in una specie di hangar abbandonato (una succursale dell’Area 51?) in quel di Sacramento per effetto della collaborazione fra Mc Ride, il beat-maker Flatlander e il batterista math Zach Hill (più i contributi di tali Info Warrior e Mexican Girl) rifugge e demolisce ogni tentativo di definizione. E si che blogger e stampa alternativa, come spesso capita di questi tempi, si sono letteralmente sbizzarriti: dalle più fantasiose come “Rza in stress post-traumatico” o “Ol’ Dirty Bastard che ascolta i Fugazi mentre fa a pezzi lo studio dei Portishead con una sega elettrica”, fino a quelle più impersonali e aritmetiche (“Edgar Allan Poe + NIN”).

Exmilitary è un disco che fa del reducismo militante e del terrorismo sonico uno stile di vita, una scientifica strategia multimediale. I Death Grips sono i disertori, i sabotatori, i kamikaze e il frutto perverso di quest’epoca di violenza catodica in cui le guerre si combattono in prime-time, fra consigli per gli acquisti e siparietti soft-core, per far schizzare alle stelle gl’indici d’ascolto dell’economia globale e i nemici vengono creati in studio, dietro le quinte, e poi macellati in diretta tv - perchè non sono come noi, sono cattivi, peggio delle bestie, e poi se la sono voluta loro con l’11  settembre – per evitare che un regolare processo ponga la pleonastica questione sulla legittimità dell’uso (e l’abuso) della forza. È Travis Bickle che dà fuoco al suo taxi con qualche crasso politicante parolaio dentro e poi crivella di colpi la sua immagine allo specchio, John Rambo che non si fa catturare dagli ex colonnelli dell’esercito e dalla propaganda reaganiana. Sono drogati di sangue e di cordite che schiumano rabbia e caricano a testa bassa contro obiettivi attentamente pianificati. Il termine di paragone più confacente alle loro incursioni dinamitarde sono gli Odd Future (OFWGKTA) per la connivenza fra attitudine street-punk, hardcore digitale, sonorità elettroniche classificabili nell’alveo rap d’avanguardia e performance art semi-amatoriale da tubo internettiano, ma senza la macabra goliardia di Tyler & C, con un puntiglio da tecnici di laboratorio impegnati a decomporre l’hip-hop fin nelle sue particelle atomiche e minimali per poi ricostruirlo come macchina da guerra pronta a guidare l’assalto ad un tempo futuribile e distopico che s’approssima silenzioso stringendoci d’assedio con la sua manovra a tenaglia.

Il rappin’ di Mc Ride è gutturale, urlato, sguainato come una baionetta montata su un fucile a canne mozze e ingrana le marce più alte su beat esplosi e frammentari, fuzz elettronici e frequenze audio disturbate, riff di chitarra noise e post-core come i sample che minano dall’interno “Klink”, tranciante come la ghigliottina che scandisce il chorus di “Guillotine” o il groove furibondo e spinato di “Beware”. Si, perché i brani dei Death Grips conservano, per ammissione degli stessi musicisti, un’idea di struttura ricorrente e un loro modo infernale di fare presa sull’interfaccia mnemonico dell’ascoltatore, un esempio su tutti: il reggaeton/dancehall da serial killer di “Lord Of The Game”.

Altrove le atmosfere si fanno più rarefatte e sci-fi, meno aggressive ma ugualmente claustrofobiche, come nel cyber-punk stile Def Jux dell’ottima “Culture Shock” o in “I Want It, I Need It (Death Heated)”, carpenteriana nel senso più cinematico del termine: la percezione del pericolo imminente per un manipolo di rinnegati soli contro tutti, assediati da una minaccia oscura e invisibile. E poi prosegue senza esclusioni di colpi con il grind-rap mitragliato in sedicesimi di “Blood Creepin’” o “Thru The Walls”: gli Atari Teenage Riot paracadutati nell’isola penale del Bronx, come Jena Plissken, circondati da facce nere, occhi bianchi, sguardi ostili e costretti a suonare almeno un po’ rap se vogliono portare a casa la pellaccia. Anche se il vertice dell’album lo toccano, probabilmente, con il mosaico dissonante, il collage tenuto insieme col filo spinato di “Spread Eagle Cross The Block” che salda il basso e la batteria jazzati, la chitarra tarantiniana e frammenti appena percettibili dei Beastie Boys di “No Sleep Till Brookyln”.

Uno dei dischi più devastanti e clandestini del 2011: preparatevi all’impatto.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 18 voti.

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fabfabfab alle 12:05 del 24 agosto 2011 ha scritto:

Ahhh sapevo che avresti apprezzato! A me per attitudine ricordano i primi Rage Against the Machine, depurati dalle scorie "metal" e aggiornati alla lezione dell'hip-hop più recente (Dalek...). Recensione bastarda quanto il disco, grande Simone.

simone coacci, autore, alle 15:06 del 24 agosto 2011 ha scritto:

eheh, grazie a te per la preziosa segnalazione, a suo tempo. Possiamo dire che è una delle "scoperte" di Storia di quest'anno.

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 19:14 del 24 agosto 2011 ha scritto:

Che roba, grazie a entrambi!

crisas (ha votato 8 questo disco) alle 0:26 del 26 agosto 2011 ha scritto:

grande !

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 14:59 del 27 agosto 2011 ha scritto:

Non vedo l'ora di provarlo: ed il merito è del (solito, grande) Simone, che ha scritto una recensione con i fiocchi.

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 10:27 del 2 settembre 2011 ha scritto:

Simone, che tu sappia si trova in formato fisico? Sto cercando ovunque senza risultati!

simone coacci, autore, alle 11:22 del 2 settembre 2011 ha scritto:

RE:

Eh, per adesso mi sa di no Barg. Mi sa che è uscito solo come mixtape in download gratuito sul loro sito.

Franz Bungaro (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:20 del 20 maggio 2013 ha scritto:

La prima volta che ascoltai "Spread Eagle Cross The Block", poco più di un anno fa, ricordo che l'impatto emotivo fu tale che ero indeciso se dare fuoco a tutti i dischi che avevo o prendere una lunga rincorsa e buttarmi giù dal balcone urlando una canzone dei Modà al contrario. Per fortuna non ho fatto nessuna delle due cose, anche perchè con il tempo metabolizzi e razionalizzi tutto, alla fine anche i Death Grips. Ma che botta, me la ricordo ancora. Stasera vado per la prima volta a vederli live. Spero che la cosa non comporti troppi traumi Questa recensione poi è spettacolare, dalla prima all'ultima lettera...la stampo e me la porto con me.