Dalek
Gutter Tactics
“È puramente hip-hop nel senso più puro del termine. (…) Se Afrika Bambaataa non fosse stato influenzato dai Kraftwerk, oggi non avremmo Planet Rock. Così, in un certo senso, quello che facciamo è strettamente hip-hop. (…) Se esiste una differenza, sta nel fatto che la tavolozza di suoni su cui lavoriamo è più varia rispetto a ciò che negli ultimi dieci anni è stato definito hip-hop.”
Così Mc Dalek ha cercato, invano, di sciogliere il nodo gordiano legato allo stile del gruppo. Uno stile fatto di “stereotipi atipici” (o di tipi da stereo un po’ atipici), potremmo dire, citando il pezzo di chiusura del nuovo album, che è stato negli anni oggetto di accostamenti e definizioni tanto fantasiose quanto insoddisfacenti (si va dalle mezze crasi tipo glitch-hop ad arzigogolati convogli di etichette come metal-shoegaze-hip-hop).
Tutti ad affannarsi a cercare qualcosa di strano e d’insano laddove, di fatto, non c’è mai stato. Fra gli esponenti rap d’avanguardia emersi a cavallo dei millenni i Dalek sono quelli che hanno conservato nel modo più indelebile le stimmate riconducibili alle radici della musica nera. Sia a livello formale, nello scandaglio ostinato e intermittente di cassa e rullante in 4/4 o nelle soluzioni offerte di volta in volta dai tradizionali turntables, che concettuale, nel progressivo riemergere dalla bruma di campionamenti dronici, industriali, noise ed elettro-psichedelici, di istanze e proclami che rimandano alla schiatta più politicizzata dei Grandmaster Flash, dei Public Enemy e dei Krs One.
I Dalek (Mc Dalek e il dj Oktopus) sono argonauti della discontinuità ambientale che non hanno mai perso di vista il continente della forma canzone e di album in album la loro rotta lambisce sempre più la terra ferma senza però mai toccarla. Una musica ipnotica come una spirale freudiana, aggressiva come una cellula delle Pantere rimasta isolata per trent’anni nel suo bunker metropolitano a covare armi di liberazione di massa, raffinata come una galleria di Post-Graffiti.
E le canzoni-morlock di Gutter Tactics, quando risalgono i condotti del vostro stereo, non fanno prigionieri.
Lo si capisce già dall’agit-prop dell’intro Blessed Are They Who Bash Your Children Rock Against A Rock, sentite qua: “what Malcolm X said when he was silenced by Elijah Mohammad was in fact true, he said Americas chickens, are coming home to roost/ We took this country by terror away from the Sioux, the Apache, Arikara, the Comanche, the Arapaho, the Navajo. Terrorism/ We took Africans away from their country to build our way of ease and kept them enslaved and living in fear. Terrorism/ We bombed Grenada and killed innocent civilians, babies, non-military personnel/We bombed the black civilian community of Panama with stealth bombers and killed unarmed teenage and toddlers, pregnant mothers and hard working fathers/ We bombed Gheddafi’s home, and killed his child. Blessed are they who bash your children’s head against the rock”.
Armed With Krylon, marziale e industriale, suona come una sirena d’allarme pre-bombing, un attacco chimico di spray nero con cui sfregiare le certezze dei quartieri alti; Who Medgar Evers Was… scolpisce l’effigie di un attivista dell’ NAACP, ammazzato come un cane dal Ku-Klux-Klan poche ore dopo che John Kennedy aveva finito di pronunciare il suo discorso sull’integrazione razziale, in una lenta colata solforosa di otto minuti e passa, una tempesta psico-materica composta di rumorismo shoegaze e anthem martellanti senza soluzione di continuità; Street Diction è l’hardcore-rap come potrebbero suonarlo i Velvet Underground di “All Tomorrow’s Parties”, neo-gotico e sinistro come un palazzaccio del Bronx in una notte senza luna, scortato da glitch cacciabombardieri volanti non identificati, brine di piano e violini assiderati, della serie: passa la tua zona e diventerai un bersaglio; Los Macheteros/ Spear Of A Nation tuona un comizio industriale e terzomondista; We Lost Sight si rifugia in una psichedelica dolce e krauta, melodica e dissonante, è la “25ma Ora” dell’America: “Fanculo al mondo? No fanculo a te” - direbbe Edward Norton - “potevi avere tutto e l’hai gettato al vento”; Gutter Tactics comincia con una sorta di ouverture e poi spiana un crossover tra i fuzz della chitarra elettrica, i noise elettronici, i blast beat e i singhiozzi dello scratch; 2012 (The Pillage) è science fiction dark e distopica; Atypical Stereotype uno shoegaze che incede con la corazza e il passo fragoroso d’un rinoceronte.
Chi semina vento, raccoglierà tempesta: questo è il solo hip-hop che ci si può aspettare da gente come loro.
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