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R Recensione

8/10

Alberto Dubito – Disturbati dalla CUiete

Santa Bronx

All’inizio del nuovo millennio, i Disturbati dalla CUiete hanno rappresentato una ventata di aria nuova nel panorama rap italiano, la possibilità di un passo in avanti nella ricerca di una forma espressiva originale. Ma l’improvvisa scomparsa, a soli ventun anni, di Alberto Dubito, voce e autore dei testi del duo, ne ha purtroppo interrotto la strada. Oggi, a distanza di sei anni da quel disco stupefacente che fu “La frustrazione del lunedì e altre storie delle periferie arrugginite”, esce “Santa Bronx” (non una semplice ristampa, ma una bellissima riedizione critica nella forma libro più cd, che inaugura una nuova collana), con l’intento di analizzare e riproporre l’opera di quello che definire semplicemente un rapper può essere riduttivo. Piuttosto un poeta, o meglio, un poeta di strada, o, per dirla all’americana, un rappresentante della migliore street poetry. Più che di rap giustamente si parla qui di spoken words, di poetry slam. Con la consapevolezza però della cultura europea, e con un bagaglio culturale che comprende, oltre ai padri del rap americano, anche i poeti francesi dell’800 e i contemporanei italiani (Zanzotto su tutti).

Le storie raccontate dal giovane Alberto “Dubito” Feltrin nei suoi racconti / poesie (raccolte integralmente in un bel volume edito da Agenzia X, Erravamo giovani stranieri) partono dal suo vissuto, quello di un giovane degli anni zero in una delle tante periferie della provincia italiana, che lui chiama “periferie arrugginite”. Ma come giustamente evidenzia Lello Voce nel saggio introduttivo, qui le periferie non sono solo quelle urbanistiche, ma anche quelle dell’anima, periferie esistenziali, poetiche e musicali, che dipingono un autore realmente fuori dagli schemi.

Sono racconti di “Storie abbandonate”, uno spoken word su suoni elettronici ma con strumenti acustici (flauto e chitarra) che danno un sapore quasi jazz, per accompagnare un linguaggio colto, completamente diverso da quanto proposto nel rap italiano. Il brano apre il disco, ed è una manifestazione d’intenti, per spiegare il senso del progetto Disturbati dalla CUiete. Sono le storie dei ventenni di “Vent’anni contro”, una poesia profonda e toccante, con la base elettronica splendida di Davide Dr. Sospe’ Tantulli (la mente musicale del duo) ed il violino di Lorenzo Buffato. Storie di “Frustrazione”, con ospite uno scatenato M1 dei newyorkesi Dead Prez e il produttore Bonnot al basso, con Dubito che cita Arthur Rimbaud (“Non si può essere seri a diciassette anni”) e Spike Lee, in un brano che sta tra Public Enemy e Rage Against The Machine, ma dal sapore punk. Storie di una gioventù, quella degli anni zero, che si trova costretta in un “Circolo vischioso” avvolgente, come il circolo vischioso della vita da cui è difficile uscire. Storie delle periferie dell’impero del nord est, “Le periferie arrugginite”, un rap a mille all’ora che è una rivendicazione di appartenenza, il chi siamo e chi non siamo. Le periferie di “Cara città – mash up!”, una lettera d’amore al veleno per la sua città ed il nord est produttivo (“Stronza e maledetta, uguale a centomila come te, le piazze chiuse, le rotonde, le ronde, le multe, le notti in questura e i lividi dentro che è da non crederci quanto è dura, e la vostra cortesia al mattino fa ancora più paura”).

La forza di questi testi si appoggia a basi sempre originali, che, al pari dei testi, mischiano suoni e influenze diverse, spiazzando l’ascoltatore. Se “Stazioni nelle stazioni” è un lento, una lettera d’amore struggente, con un linguaggio vicino al miglior Vasco Brondi, e “La crisi dei giorni sì” è un crossover rap metal alla RATM, in “Vuoti a perdere” sulla base elettronica ritmata si alternano la voce soul di Gloria Morena e quella recitante di Lello Voce, la chitarra acustica ed il violino.    

Se la citazione ricorrente del suicidio mette i brividi in “Il ciclo dei vinti 2.0”, lo spoken word di “Non c’è più tempo” è un invito a resistere agli anni zero, con la consapevolezza però di bruciare in fretta (“devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me”). È una corsa lunga “Mille miglia”, la corsa di una generazione descritta come pentole a pressione pronte ad esplodere, in un panorama di periferie arrugginite, dove “al buio le telecamere hanno sostituito Dio”, la corsa della vita di questo poeta che si è fermata a ventun anni.

È incredibile come questo ragazzo fosse già così maturo, artisticamente e umanamente, liricamente perfetto, originale come pochi altri, impressionante per conoscenza delle tecniche di scrittura e della lingua italiana, per profondità di pensiero e capacità di lettura e analisi della realtà. Ancora più incredibile come a soli ventun anni se ne sia andato via per sempre. Difficile dare un voto a questo lavoro: otto potrebbe sembrare troppo, in realtà è pochissimo.  

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