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R Recensione

7,5/10

Uochi Toki

Il Limite Valicabile

“Ogni recensione o discorso sulla musica mi fa un male incredibile.”

E allora va bene, vi dico di me. Al liceo, avevo l’ossessione, un autentico culto pagano, per la parola. Isolarla sul foglio bianco, totem oscuro nella neve, mi procurava dannata eccitazione. Vederla volteggiare nel nulla, riempire il vuoto con il suo umile esserci. Restarne frastornato. I viaggi mentali che ho fatto, su una sola parola finita da un punto. Ebbi l’ingrata idea, agli orali del quinto anno (ma quale maturità scientifica?), di portare una tesina intitolata La forza della parola, la potenza dell’espressione. Mi procurai dei cartelloni bianchi, e su ognuno ci appiccicai, distanziando bene i versi, le parole di alcune poesie di Ungaretti. Frammenti minuscoli di buio oscuravano, inondandolo, il candore di un metro quadrato di carta. La commissione liquidò il progetto come bizzarria di un sognatore vanesio (ok, non dissero proprio così), e spostò il discorso, con la scusa di un’attinenza perlomeno discutibile, sulle formule fisiche inerenti il peso specifico, o giù di lì. Io portavo la commissione sui miei territori, lei mi trascinava per i capelli sui suoi. Eccolo, nella lotta al confine di una guerra persa in partenza, il mio limite valicabile. Gli Uochi Toki non sono dissimili dall’ermetismo di Ungaretti. Il poeta riempiva di immagini, in dieci parole, la pagina bianca di un libro, o del mio cartellone; Napo e Rico, proporzionalmente, adoperano lo stesso numero di immagini per vocabolo, dispiegandole in un ettaro di basi candide e lerce.

La parola può rivelarsi delinquenziale, offensiva, indignata oppure saggia. Ma non è mai vile. La parola può divenire intangibile, quasi sempre. È proprio su questo logorante paradosso che il nuovo lavoro degli Uochi Toki si innesta: Il Limite Valicabile è nella impossibile coesistenza di comunicazione e non-comunicazione, che trova la sua indicibile soluzione nel sancire l’inadeguatezza della parola e la vittoria inappellabile del non verbale. Gli Uochi Toki. Non verbali. Ci si goda l’ossimoro. Sicché, il mio descrivere, attraverso intangibili, per quanto adorate, parole, un doppio imponente album come questo, va da sé, è impresa titanica e senza dubbio limitante.

Giunti al decimo album, questi due alchimisti del pensiero ci hanno regalato dischi sbalorditivi (l’impatto inaudito degli esordi, la magniloquenza del "Libro Audio", 2009), altri più aneddotici ("Cuore Amore Errore Disintegrazione"), sino al ludico "Idioti" del 2012. Nel mezzo, collaborazioni, sperimentazione, magnifici singoli venduti soltanto ai concerti, un’aura nerd coltivata per sbaglio, e l’eco ripetuta e avvincente di miliardi di parole, concetti imponenti, flatulenze pregne di sottintesi, eloquentissimi silenzi, deviazioni e percorsi ragionati e coerenti. E una logorrea spaventosa: parlata quella di Napo, suonata quella di Rico, immaginifica quella degli Uochi Toki insieme. Il primo dei due capitoli de "Il Limite Valicabile" si fa riconoscere semplicemente come Un Disco Rap, giustamente introdotto da "Un Pezzo Rap": l’avvicinamento a questa musica, l’impatto violento con l’elettronica, gli Autechre, la storia che introduce la storia che introduce la storia che introduce un nuovo disco, un gatto che segue solo la sua coda ma nel frattanto si ribalta, capovolgendosi, percorre chilometri, giunge altrove. Frequentissimi, poi, i dialoghi sotto forma di featuring, che diventano all’occorrenza flirt, scontri, reincarnazioni: con Sin/Cos per "Don’t Legislaizah", tutta singulti, bleep tribali e la cara vecchia “droga”, con Campidilimoni per la meno efficace "Bim Bum Cha", Murubutu per le memorie dal sottosuolo di "Rest In Peace, Rest In Poetry", ovvero l’omaggio a Leopardi più libero e coraggioso che possiate udire, o il tellurico teletrasporto di "Uranium Age Crew" con un imponente Zona Mc; e, più di tutto, con Miike Takeshi nelle claustrofobiche frantumazioni di "Talento e Merito Tradotti in Inglese Diventano Altre Cose", quindici minuti di apnea fisica e decolli mentali. Da pazzi, infine, il talento cristallino di Napo in "Dialectatron punto VST", una interregionalizzazione in tempo reale, e la prodigiosa mancanza di tatto della conclusiva Shake Your Assets, in cui riceverete spiegazioni interiori a quesiti irrisolti a posteriori.

“…se ci fosse un secondo disco, finito questo”: è con queste parole che si conclude la prima metà de Il Limite Valicabile. Il secondo disco c’è, fisicamente, eppure forse no, oppure forse forse. Si intitola La Fine Dell’Era Della Comunicazione ed è un parto per gemmazione da appigli circostanziali: le basi si fanno liquide, oppure terrose, come a dire gutta cavat lapidem, la voce soffoca, oppure affoga, rincorrendosi per astrattismi, dove “astratto, però, non vuol dire inesistente”. Un percorso in parte sperimentato, in parte scandagliato, negli ultimi esperimenti sulla breve distanza di Distopi e Cystema Solari, ovvero la ricerca di altri luoghi, altri idiomi. La materia diviene magmatica ("Whole Grain"), minimale ("Una Cena"), armata di "Urina Spray", apocalittica ("Vai a FFT"), infine mistica nel manifesto del "Corpus Sonico", che si conclude con la sentenza “se volete qualcosa di astratto ma TANGIBILE dovrete aspettare la fine dell’era della comunicazione”. Di qui in poi Napo tacerà, e il paradosso viene fissato nel nucleo pulsante di "LFDEDC", nei cortocircuiti di "Voglio Sentire le Urla del Re", scientemente scelto come singolo, e nelle derive sintetiche colme di storie, iniziazioni, battiti d’ali, trasporti, scatoloni mentali delle restanti tracce.

Ho sbagliato tutto, mea culpa: tornassi indietro, vi racconterei "Il Limite Valicabile" stramazzando sulla tastiera, in preda all’incomunicabilità. Non è tardi.

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Mi si conceda comunque il punto a fine frase. Non sarò mai uno Uochi Toki, ahimè.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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fabfabfab alle 16:22 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Una al giorno ne dovresti scrivere di recensioni così. Una al giorno.

bargeld, autore, alle 19:20 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Tu mi vuoi morto!

FrancescoB alle 21:26 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Recensione splendida. Con loro io però vado con i piedi di piombo: il tipo mi toglie la voglia di proseguire con l'ascolto tipo dopo dieci secondi di ampollosa/egotica declamazione. Vista la qualità dello scritto di Barg prometto di provarci, però non prometto di cambiare idea: io li ho sempre percepiti come molta boria e poca sostanza, fatta eccezione per il bellissimo "Libro Audio", che mi piace molto ancora oggi.

Marco_Biasio alle 21:52 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Io dopo "Idioti" non riesco più a reggerli, e sì che "Libro Audio" e "Cuore..." (soprattutto quest'ultimo) mi erano piaciuti molto. Non credo potrei mai arrivare alla fine di un doppio disco del genere... Recensione comunque strepitosa, e d'accordo con Fabio, dovresti scrivere di più!

bargeld, autore, alle 13:12 del 26 marzo 2015 ha scritto:

Troppo gentili, grazie.

"La musica sveglia il tempo", scrive il direttore d'orchestra Barenboim. Sì che vale per il sottoscritto, e pure per gli Uochi Toki. Farabegoli conclude la sua recensione per Rumore così: "E questo, diciamo, è quello che succede in sette secondi di ascolto del nuovo disco degli Uochi Toki. Poi succede altro.".

Credo che questa sia la loro opera più ambiziosa e, come tale, farà storcere più di un naso, probabilmente a ragione. Ma c'è l'impressione che una sorta di non-ritorno sia stato decretato e, solo per questo motivo, vale la fatica di un'esperienza di ascolto.