V Video

R Recensione

7/10

ScHoolboy Q

Habits & Contradictions

Fra le uscite Top Dawg Entertainment che hanno segnato il 2012 e ridisegnato i contorni della scena hip-hop West Coast all'alba del decennio, quella di ScHoolBoy Q le ha precedute tutte, “settandone” l'intensità. Inclemente paragonare il tanghero in questione a un fuoriclasse come Kenrick Lamar, capace di monopolizzare orecchie e cuori con quel good kid, M.A.A.D City che, se ancora esiste una qualche forma di giustizia terrena, verrà ricordato come un classico dell'intero genere. Eppure per Habits & Contradictions - ma il discorso si estende all'ultima prova del collega Ab-Soul - si sono versati ettolitri di inchiostro, reale o virtuale, e non solo da parte di webzine/riviste operanti da anni nel settore. Qualcosa vorrà pur dire. O anche no. Fatto sta che, a dieci mesi dalla sua uscita (quando si dice la puntualità!), il nostro giudizio sul disco non si schioda di una virgola: opera parecchio interessante, per quanto appaiano ingiustificati gli entusiasmi strappa-capelli.

Prima del contenuto strettamente musicale, una premessa: qui si sta parlando della naturale prosecuzione delle gangsta's fairy tales, con tanto di etica street, mafia a go-go, bitches fumanti ad ogni angolo e chili di skunk accatastata in garage (probabilmente dei genitori, vista l'età dei kids in questione). Il tutto, però, presentato in modo così barocco (forse anche un tantinello autoironico...) e putrescente da intaccare la struttura stessa del contesto, e quindi dell'ascolto. L'oscurità la fa da padrone, e ogni riferimento a sesso promiscuo, party e dope sfuma nella disillusione, per di più condita da occasionali riflessioni su morte e ipocrisia della religione organizzata. Tutto bene, dunque? Non proprio. Perché, sì, il malloppo di tematiche e slang è bello corposo, ma la forma non sempre ne è all'altezza.

Il punto è che, come rapper, ScHoolBoy Q è bravino ma non certo trascendentale. Improponibile, si diceva, il raffronto con l'enciclopedismo di Lamar, un tipetto che parte dalle evoluzioni Rakim, le gonfia di elucubrazioni 2Pac, aggiunge il suo flow di caratura superiore e sbarca nel 2012 con un armamentario lirico fra i più complessi e “fioriti” ascoltati da anni. Persino Ab-Soul supera ScHoolBoy Q a sinistra per lucidità e senso di costruzione. I testi di quest'ultimo, invece, sono assai più “piani”, tanto nell'esposizione quanto nella scelta di vocaboli, figure retoriche e soluzioni linguistiche. Il flow ambisce forse alla rotonda fluidità di Snoop Dogg ma difetta della sua cadenza dinoccolata, di quella varietà di accenti che in più di un'occasione fece gridare al miracolo (basti rinfrescarsi la memoria con Lodi Dodi - la sua versione del classico di Slick Rick - per capire cos'era in grado di fare quell'alieno). Per fortuna gli ospiti sono tanti (fra i quali tutti i membri della sua crew, la Black Hippy), e contribuiscono non poco alla credibilità delle parti rappate.

Inutile, a questo punto, notare che il meglio del disco va rintracciato nelle basi. La girandola di produttori è pressoché inestricabile (ed infinita, perciò niente elenchi) ma il risultato è un lavoro omogeneo, curatissimo, persino eccentrico nella scelta di sample in cui il progressive domina (i Genesis per Gangsta In Designer (No Concept) e Rick Wakeman per 2 Raw, entrambi fra i brani migliori). Il suono gorgoglia nelle cuffie (i bassi scivolosi di There He Go), si dilata in ogni anfratto dello spettro (il trip-hop di How We Feeling), si gonfia di atmosfere horrorcore che chiamano in causa RZA (NigHtmare On Figg St. e soprattutto Raymond 1969, costruita sull'inconfondibile Cowboys a firma Portishead), per quanto non di rado le atmosfere gloomy si stemperino grazie a synth futuristici, poliritmie e voci femminili “trattate” (Sex Drive, la bellissima Sacrilegious). L'iperattiva Hands On The Wheel è graziata dalla produzione dei Best Kept Secret, duo già all'opera per Wale, ed è un felice contraltare al minimalismo “scientifico” di numeri come Oxy e Sexting, entrambi penosi.

Ma è con uno strike assoluto come Grooveline Part 1 (il veterano Lex Luger in cabina di regia) che il rapper di Figueroa Street si riconcilia col suo lato più smooth e al contempo sperimentale: un loop interruptus soffocato da fruscii “basinskiani”, frattale soul (il sample è cortesia della grande Marlena Shaw) che si rimette continuamente in discussione, staticità pura in cui fremono milioni di particelle glitch instabili, un flow simile a sbuffate di fumo osservate al rallentatore. Creatività abbagliante, nella sua semplicità. E Blessed, preghiera laica altissima, etereo svolazzo 4AD con un featuring di Lamar che vale tutto l'oro che questo nigga ha addosso, sembra proprio anticipare sonorità e tematiche di good kid, M.A.A.D. City: il dolore, la rassegnazione, il desiderio terribilmente umano di essere ricordati e sfuggire alla mannaia del tempo, il “for real” trasfigurato in gioiosa presa di coscienza del mondo e di sé, e in ultimo la profonda empatia che accomuna - o dovrebbe accomunare - non solo homies o famigliari, ma tutta l'umanità. Roba pensante o leggerissima, a voi la scelta.

 

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.