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R Recensione

8/10

Kendrick Lamar

To Pimp A Butterfly

Quel genio egocentrico di Kanye West farebbe bene darsi una mossa, perché ha trovato pane per i suoi denti: un altro cervellino hip-hop tagliato a fino, capace di allestire uno spettacolo onnivoro, eccessivo, sfrenato.

Uno spettacolo meraviglioso: “To Pimp A Butterfly” è la celebrazione della precoce maturità di Kendrick Lamar, che ci parla direttamente dall'interno di Compton, è che è fra i pochi cantautori impegnati, sui generis, della nostra era.

To Pimp a Butterfly” è anche la sua fantasia oscura, bellissima e confusa: un lavoro che si appropria dei cliché dell'hip hop per trasformarli in qualcosa di più grande e coraggioso, portandosi decisamente oltre.

Il disco di Kendrick conferma una tesi che il sottoscritto propugna da tempo: la crisi economica, i mutui subprime e tutto il corredo di orrore hanno regalato nuova luce all'Altra America (emblematica, in tal senso, la simbolica copertina: orde di disperati formano una calca davanti alla Casa Bianca). Quell'America, principalmente colorata di nero, che toglie la maschera di zucchero indossata dal capitalismo: là fuori ci aspetta una guerra totale, ancora fomentata, peraltro, da sordide e inconfessabili motivazioni razziali. E questo obbliga a impilare con furia interrogativi, speranze, rabbia, contraddizioni, ripensamenti. Questa è musica impegnata, ma sorretta da un'esigenza espressiva di una potenza unica.

Il nuovo impegno nero, rispetto al passato, è decisamente obliquo, raffinato, più consapevole: Matana Roberts, D'Angelo, Robert Glasper, lo stesso West e Kendrick Lamar, sono (con tutte le differenze del caso) intellettuali a tutto tondo. L'hip hop di protesta degli anni '80 e '90, nella sostanza, si limitava a disegnare scenari futuri benevoli e libertari, oppure funzionava come semplice monito: le cose stanno così, preparati a combattere.

Lamar e gli altri big black dell'ultima era vanno invece un po' oltre, senza per questo avvicinarsi allo squadrismo machista e inquietante dei Public Enemy maturi: ragionano la protesta quasi più in termini di AACM, anche se sono meno ultraterreni, e ancor più incazzati.

Lamar è un osservatore sulfureo, eppure appassionato. E “To Pimp A Butterfly” lo consacra come gigante della musica contemporanea.

Di più: il disco è un capolavoro che, sulla falsariga di quanto fecero illo tempore i maestri A Tribe Called Quest, riscopre in ambito hip hop una vena jazzy unica e ben calibrata. Questa è musica futurista e progressiva, che vive, più che di canzoni vere e proprie, di articolate suite avant-jazz.

In questo eccesso di materiale, di idee, di geometrie taglienti e cariche di tutti i colori del mondo si scova le analogie più pregnanti con il capolavoro di West pubblicato nel 2010.

Anche in tal senso, Lamar sembra seguire le orme del Maestro/Amico/Rivale/Ammiratore: il maledettismo e l'immaginario da strada, tutto marciapiedi, ambizioni troncate (l'albero dei soldi, la piscina di liquore) e sparatorie del capolavoro targato 2012 perde un po' di consistenza, diventa astratto.

Ciò non toglie che lo spettacolo offerto dal suo ego ferito eppure arrogante, colto eppure tamarro, non abbia eguali nell'universo hip hop contemporaneo (fatta eccezione, naturalmente, per l'ovvio e pluricitato Kanye).

Kendrick, semanticamente parlando, evoca ancora lo spettro del fratello Malcom (come Matana Roberts), e poi fa molto di più: trasforma le arringhe onanistiche di molto hip hop in riflessioni altrettanto crude, eppure dotate di una potenza immaginifica sconfinata. Usa il cervello, Kendrick, in ogni senso possibile, e questo fa tutta la differenza del mondo.

I suoi brani sono stupefacenti dal punto di vista strutturale: dinamici fino all'inverosimile, corrosivi, saturi, sovraccarichi e arrangiati in modo (meravigliosamente) tronfio.

Qualche esempio? Il singolone “The Blacker The Berry” vanta un testo degno del miglior Chuck D, ed è un miracolo di enfasi e di elettronica - che si gonfia e poi si sgonfia, senza concedere tregua. Mentre il beat regolare perde un po' il passo, si dilata, quasi a voler evocare le strutture mobili del jazz hop architettato nel corso degli anni '90 dal geniale Steve Coleman.

Ma partiamo dal principio: "Wesley's Theory" featura una leggenda come George Clinton, e poi si satura di tastiere, vocoder e pannelli vocali "alterati". Il brano è una specie di labirinto, che riscopre un po' di concretezza grazie alla performance vocale grintosa di Lamar (il cui flow è sempre clamoroso).

Il sassofono alto di "For Free?" apre la strada a un fitto dialogo di voci che è kanyewestiano al 100% (a metà strada fra "New Workout Plan" e "Addiction"), e dà vita a un capolavoro di volgarità sfacciata e velata da una pesante ironia. "These Walls" vede figurare, fra gli altri, un altro nero di prima categoria come Bilal, ed è puro r'n'b da dancefloor, orecchiabile e sfavillante, ancora una volta figlio di una concezione progressiva della musica (gli innumerevoli refrain vocali, il ritornello catchy, i volteggi dell'elettronica alternati ai fraseggi jazz delle tastiere: una meravigliosa confusione)

"U" è jazz orientato verso Robert Glasper (con tanto di una frase incendiaria del sassofono), e si contorce in un discorso vocale appassionato e un po' delirante, che sembra sgraziato, ma solo perché Kendrick parla con il cuore in mano. Anche qui la scrittura funziona a pannelli, è stratificata, rigogliosa, rallenta e poi accelera quasi che Kendrick fosse il Mingus dell'hip hop contemporaneo (e no, non sto bestemmiando, se è questo che temete). Impressioni simili evocano "Alright", spezzata dai continui break della ritmica, o la più luminosa, quasi princiana "Complexion (A Zulu Love)", che è fra i momenti più esaltanti del disco.

"For Sale?" assembla cori gopel, il respiro di Lamar (!!), la melodia dolce di un sassofono, un milione di microeventi che progressivamente si tolgono spazio e aria, degenerando in una sorta di pichedelia "liquida" tutta kendrickiana. La natura intimamente anfibia della versione di Kendrick emerge in tutta la sua dirompenza nella fantascientifica e inclassificabile "Hood Politics" (con l'intro che sembra uscita da qualche invenzione di Gil Scott-Heron, mentre il resto del brano si regge sopra un'arringa tiratissima), così come nel soul-hop arioso e solenne di "How Much a Dollar Cost?" (Kendrick, incredibile ma vero, è bravo persino con i titoli).

"Mortal Man", con i suoi dodici minuti, è il momento in cui Kendrick osa ulteriormente (in un contesto che è già tutto un osare), mettendosi sulla falsariga di "Last Call" del solito West, o della sua "Sing About Me". Musicalmente, si tratta di una lunga digressione contesa fra jazz notturno e sinistro (le splendide fanfare, il pianoforte), soul, ritmi da marcia, monologhi in piena solitudine, un'intervista immaginaria a Tupac. Il testo assegna a "To Pimp a Butterfly" la palma di Divina Commedia della musica hip hop contemporanea, o qualcosa del genere: ispirato da un viaggio in Sudafrica, il brano traccia una linea immaginaria che congiunge le vicende di Malcom X, Martin Luther King, Mandela e l'idolo Tupac Shakur, tutti inquadrati come voci autentiche, capaci di invocare libertà per il popolo nero.

Non so neppure come concludere, sono frastornato e sbalordito. Lo dico: il 2015 è l'anno in cui la musica nera ha definitivamente riscoperto una grandeur impressionante, o meglio la capacità di spostare in alto l'asticella.

E Kendrick troneggia su tutto e su tutti: lui ce l'ha fatta, che ci provino gli altri, adesso, a fare un disco così.

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Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 28 voti.
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max997 10/10
ciccio 9/10
Lepo 3/10
Cas 8/10
zagor 8/10
unknown 8,5/10
gramsci 4,5/10
B-B-B 8,5/10
hiperwlt 7,5/10
antobomba 8,5/10
zebra 6/10
gull 8/10
Lelling 8,5/10
REBBY 7,5/10
ThirdEye 8,5/10
Grind 10/10

C Commenti

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zagor (ha votato 8 questo disco) alle 9:58 del 23 marzo 2015 ha scritto:

Uno dei pochi in ambito hip hop che mi sembra abbia ancora qualcosa da dire, il disco precedente mi era piaciuto...anche se ultimamente mi sembra troppo over hyped. Ottima la recensione, poi ascolterò con calma.

unknown (ha votato 8,5 questo disco) alle 22:55 del 23 marzo 2015 ha scritto:

good era favoloso..qui vedo un 8 e un 10 ...quindi dovrò ascoltarlo

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 11:35 del 25 marzo 2015 ha scritto:

mi sta piacendo abbastanza, anche se lo trovo un po' diseguale...ad esempio "i" sembra ammiccare troppo al mainstream più ruffiano, di frank ocean e quella roba lì insomma, mentre la chiusura di "Mortal man" mi sembra troppo lunga e pesante.. Concordo sull'influenza degli A Tribe Called Quest. "wesle's theory" ( basso clamoroso) e "These walls" pezzi clamorosi, in generale notevole la capacità del tizio di filtrare diversi elementi della black music, in questo ricorda un po' gli Outkast.

fgodzilla (ha votato 9 questo disco) alle 14:56 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Genio Genio Genio ci e' e ci fa e lo fa benissimo cazzo good era molto piu' street qui si e' fatto le sold e si sente .........

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 20:34 del 25 marzo 2015 ha scritto:

si sente e si vede, ogni rapper che si rispetti appena fa la grana lo ostenta spudoramente LOL

hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 20:43 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Brano chiave, "i" - a partire da quell'io minuscolo, come un noi: Lamar che esce da Compton. La prima versione lasciava intendere una via più mainstream, accessibile e ruffiana (come dice Zagor: a me non dispiace affatto), rinnegata in modo paradossale da quella presente su "To Pimp a Butterfly". Paradossale perché permane evidente il tiro pop all'interno nel pezzo (così come in altri), ma al netto di un'estetica anarchica e d'un trasporto (di protesta, dice bene Fra) presente nel disco che va totalmente da un'altra parte. Disco difficile da definire (Francesco inquadra al meglio il sound) su cui dovrò tornare, ma intanto roba come "Wesley's Theory", "King Kunta", "These Walls", "The Blacker The Berry" ecc. la trovo eccezionale. Ps: influenza, in tanti beat, totale di Flying Lotus.

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 15:43 del 26 marzo 2015 ha scritto:

vero, c'è stata infatti una collaborazione tra flying lotus e kendrick lamar, in "never catch me"

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 21:06 del 26 marzo 2015 ha scritto:

la scintilla, nel mio caso, scatta con "Istitutionalized", brano mutevole e variegato che scorre liscio e sinuoso, alternando i vari featuring in un affresco a più voci dove convivono echi old school (Snooop Dog) e sinuosità contemporanee (il grande Bilal). bello il beat che irrompe secco e improvviso dopo l'intro ambientale, con quegli inserti jazzy a profumare il flow... Il disco lo devo metabolizzare, ma i pezzi degni di nota sono tanti. Grandissimo Lamar e grandissimo Fra.

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 13:59 del 31 marzo 2015 ha scritto:

anche "u" molto piacevole, mi ha ricordato il miglior Eminem.

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 14:03 del primo aprile 2015 ha scritto:

"u" e "i", due facce della stessa medaglia: la prima scura, cupa, dove il sax sembra l'affacciarsi tormentato di un pensiero scomodo (depressione, suicidio); l'altra dove il sound è sgargiante, pieno di groove, ricamato di funk... dal dubbio di "u" ("lovin' you is complicated") alla certezza di "i" ("i love my self"), dalla messa sotto accusa di un sé stesso spersonalizzato, a cui parlare come "altro", alla riconquista di un io. grande album

Utente non più registrato alle 13:53 del 3 aprile 2015 ha scritto:

Mah!?!?!?...ma anche ghghgh (che va via come il pane)...

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 22:53 del 14 aprile 2015 ha scritto:

video e canzone di "kunta kunta", sooo 90s....

Sor90 alle 19:44 del 15 aprile 2015 ha scritto:

Ma infatti, sono solo io a sentirci alcuni richiami al R'n'B novantiano? Cioè non pensate che sia la mia solita fissa ma, in alcuni pezzi più soft (i miei preferiti fin'ora) come "Institutionalized", "You Ain't Gonna Lie", "Theese Walls" mi si riaffaccia alla mente quel suono. Non saprei dare dei riferimenti precisi, qualcuno più esperto mi sa dire se sto prendendo un granchio?

Comunque questo è un discone; suoni paurosi, hook raffinatissimi, una composizione del concept stupenda, con quello spoken word che aggiunge ogni volta un pezzo e ci fa immaginare passo dopo passo Kendrick nel suo ghetto, Kendrick "screaming in a hotel room", Kendrick "back home", fantastico. Poi va bè, diciamolo che anche i pezzi tamarri sono una goduria, da "King Kunta" a "The Blacker The Berry" (che si fa persino apprezzare col suo break dancehall) al pari e forse più dei flussi di coscienza dove il flow quasi diventa uno strumento del complessissimo arrangiamento. Bilal e Snoop Dogg (!) grandissimi nei loro interventi. Rendere entusiasta un non adepto come me, vorrà pur dire qualcosa...

REBBY (ha votato 7,5 questo disco) alle 20:38 del 15 aprile 2015 ha scritto:

"Rendere entusiasta un non adepto come me vorrà dire pur qualcosa..."

Di sicuro, ma non è detto sia "na cosa bella" eheh

Sor90 alle 20:53 del 15 aprile 2015 ha scritto:

Dici che "scavalcare il recinto" per rendersi più accessibile a tutti è pericoloso? Sicuramente, ma non è questo il caso. Non è un disco proprio facile per tutta la sua durata, è anche molto complesso nella scrittura. Secondo me è un caso di disco ottimo, la cui pregevolezza è evidente a tutti, amanti dell'hip hop e non. E poi c'è da dire che Lamar l'ho sempre apprezzato in svariati singoli ed episodi!

Ma il sito tutto credo si stia domandando cosa ne pensi tu, Rebby

REBBY (ha votato 7,5 questo disco) alle 21:02 del 15 aprile 2015 ha scritto:

Non l'ho ancora ascoltato, al solito aspetto di avere il cd. Chiaramente l'ho già in ordine, con tutti questi entusiasti Non posso proprio esimermi lol

REBBY (ha votato 7,5 questo disco) alle 11:47 del 11 maggio 2016 ha scritto:

Mi ha addirittura fatto riascoltare un paio di volte (a distanza di mesi) Good kid M.A.A.D. city (niente da fare, continua a non piacermi) e con piacere mi unisco al coro ghgh è un disco ottimo, anche per un non adepto come me eheh

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 16:20 del 20 dicembre 2015 ha scritto:

Disco potente e "pieno di musica" fino a scoppiare. Si sente pesantemente l'influenza jazz, talmente tanto che non piacerà ai puristi hip-hop. Così come il disco del "dirimpettaio" Kamasi Washington non è piaciuto ai puristi jazz. Meno male che noialtri i puristi li prendiamo a stronzi in faccia (così perdono purezza) perché in questo scambio tra "new-soul" (che è "new" in quanto recupera l' "old", ovvero la tradizione nera) e "new jazz" (che è ancora più "new" in quanto recupera l'"ancora più old", ovvero il ritmo e la danza), abbiamo da guadagnarci tutti. Nel caso specifico, due dei dischi più interessanti dell'anno. Vabbè, mi sono capito solo io, comunque quando nella bolgia di "King Kunta" cita Michael Jackson ("Life ain't shit but a fat vagina / Screamin' "Annie are you ok? Annie are you ok?") vado fuori di testa!

LucaJoker19_ alle 18:18 del 20 dicembre 2015 ha scritto:

a gkmc ho dato 10 .. a questo non so .. musicalmente è stupefacente, ma non è certo black music avant-garde, come invece ho letto in giro . mi vengono in mente i roots, gli outkast, janelle monae(archandroid) .

lamar ha però il pregio di metterci l'anima, oltre alla grinta, nel tentativo di smuovere la sua gente a reagire, di fronte ad un sistema (quello americano) in cui purtroppo dilaga ancora il razzismo. del resto capita ancora troppo spesso che accendiamo la tv e sentiamo del ragazzo di colore che è stato ucciso dalla polizia ..certo la polizia li è violenta a prescindere, ma il razzismo c'è.

inoltre il ragazzo è uno storyteller da far paura (ho tradotto "these walls" ed è qualcosa di incredibile, con il riferimento alle pareti dell'edificio con quelle vaginali ("if these wall could talk").

c'è tanto in questo disco su cui godere e sbatterci la testa, uno di quei dischi che mi piacerebbe sentire su un impianto serio, sorseggiando un drink nel salotto di casa mia (quando ce l'avrò)

non è il mio disco rap dell'anno, (mi sono piaciuti piu Tetsuo & Youth di Lupe fiasco e ALLA di Asap Rocky) ma è un disco importante.. gli do un altro ascolto in questi giorni e poi vedo se mi parte il 9 in pagella o meno

NathanAdler77 (ha votato 8 questo disco) alle 1:54 del 25 dicembre 2015 ha scritto:

Classico moderno che sposta in avanti l’idea di un hip hop enciclopedico e universale, con un gusto per il dettaglio, testuale e sonoro, omnicomprensivo e di una maturità impressionante. “The Blacker The Berry”, “King Kunta”, “These Walls”, “u” e “How Much A Dollar Cost” sono (grandi) istantanee musicali del presente che rimescolano il passato, a evocare il jazz e soul dei Padri, Miles Davis e George Clinton, Sufjan Stevens e “Smooth Criminal”. Esemplare il dialogo immaginario fra Kendrick e Tupac in “Mortal Man”, con quella riflessione sul ruolo sociale e caducità del personaggio storico/artista vista dalla parte della sua audience-fanbase (“How many leaders you said you needed then left ‘em for dead?...That nigga gave us Billie Jean, you say he touched those kids? When shit hit the fan, is you still a fan?”, a proposito della parabola jacksoniana e di altre icone del Novecento).

FrancescoB, autore, alle 10:07 del 25 dicembre 2015 ha scritto:

Nath, bentornato, e considerazioni che reputo focalizzate al meglio. Felice che ti sia piaciuto: per me questo disco sposta davvero in avanti le lancette, Kendick è l'unico vero erede del Kanye migliore anche in tal senso. Crea una scuola.

LucaJoker19_ alle 23:46 del 25 dicembre 2015 ha scritto:

i roots già 15 anni fa le facevano ste cose

FrancescoB, autore, alle 23:04 del 26 dicembre 2015 ha scritto:

Non sono del tutto d'accordo, pur stimando (e "sentendo) i Roots, veri pionieri di un certo hip hop orientato all'avanguardia e al jazz. Kendrick a me pare proprio una cosa a sé, in termini di stile

gull (ha votato 8 questo disco) alle 20:38 del 12 gennaio 2016 ha scritto:

Ed alla fine, come al solito in ritardo, ci sono arrivato anch'io a questo "To pimp a butterlfy". Che dire, bellissimo, straripante di idee e di musica: rap, jazz, funk e moltissimo altro. Talento luminoso che delizia anche vecchi orecchi come i miei. Un altro centro pieno dopo "Good kid...".

LucaJoker19_ alle 2:02 del 30 dicembre 2016 ha scritto:

me lo sono ripreso in mano in questi giorni . rivalutato mica da ridere ! anche se da fan sfegatato di good kid maad city purtroppo questo me ne esce sicuramente inferiore ... gkmc è già diventato un classicissimo dell'hip hop made in usa ed era praticamente impossibile fare di meglio .. questo tpab è favoloso ma non condivido chi parla già di secondo classico (!!!!!)