Typhoon
White Lighter
Avete sentito il nuovo singolo degli Arcade Fire? Dai, l'indie-rock è ancora vivo, hallelujah! Dicono sia un bel pezzo, sintomo che i Canadesi hanno ritrovato quell'ispirazione che li rese alfieri di una scena incredibilmente ricca di seguaci ed epigoni. E questo nonostante The Suburbs fosse un mezzo passo falso. C'è speranza, dunque, per quelli che proprio non ce la fanno a convertirsi definitivamente al dubstep (esiste ancora?) o alla nuova ondata del rock inglese (un'altra?). Poi a me sto nuovo singolo mi sembra una cagata, una non-idea coperta da un arrangiamento stucchevole. E se fossi David Bowie andrei in Canada a prenderli a schiaffoni. Ma magari mi sbaglio, e comunque io non sono né David Bowie (non sarei neanche degno di parlarne, di David Bowie) né quello che deve salvare l'indie-rock.
Probabilmente non lo salveranno neanche i Typhoon (e nemmeno i Bruce Peninsula), ma secondo il mio parere (che in quanto tale nasce da pochi elementi oggettivi e molti parametri personali quali il gusto, la sensibilità, le aspettative, l'età che avanza...) sono queste due le uniche band (potrei aggiungere i Bodies of Water, ma questo non è il mio blog) che hanno saputo reinterpretare il discorso dei primi Arcade Fire e portarlo ad un livello superiore, non tanto per qualità quanto per ispirazione, personalità e fantasia.
Dopo i Bruce Peninsula anche i Typhoon arrivano al secondo disco, sempre tra l'indifferenza generale. Che poi i Typhoon canadesi non sono, ma Portland, Oregon, è a un tiro di schioppo e il confine tra Canada e Usa non è neanche militarizzato. A questo punto, il paragone più calzante non è più quello con gli Arcade Fire ma quello con i concittadini The Decemberists. Se questi ultimi sono ormai (o sono sempre stati) la diretta emanazione del Colin Meloy solista, riducendo il gruppo ad una sorta di backing-band del leader cantautore (ed è una condizione ben nota nel mondo del rock indipendente, pensiamo a band come Bright Eyes o Xiu Xiu), i Typhoon sono ormai una big-band al servizio della scrittura logorroica e tracimante di Kyle Morton, e White Lighter è il suo The Crane Wife. Solo che è molto più bello, perchè se Colin Meloy si attorcigliava in arrangiamenti complicatissimi e derive prog-rock in maniera non sempre brillante, Kyle Morton la butta giù facile facile, confidando pienamente nella sua scrittura e nell'abilità dei suoi numerosissimi compari (12, 19... ho perso il conto) nell'arrangiare fiati, archi, due batterie e percussioni varie con estro e capacità superlative.
Basterebbero i primi 30 secondi di Artificial Light per spazzare via tutta la concorrenza: probabile Fender Telecaster in evidenza, batteria in controtempo e poi un fiume emotivo di voce, archi e fiati degno del migliore Bright Eyes. Quasi subito il brano si spezza, la chitarra torna in evidenza e il tutto assume contorni quasi emo, ma come lo potevano intendere i Texas is the Reason o gli Apleseed Cast, non quelle facce da morto che potete trovare buttati sui gradini dei Licei. E poi Morton's Fork, la ballata acustica che Sufjan Stevens ha perso in un cassetto, Possible Deaths, l'epica rock piegata ai voleri del folk, The Lake, un miracolo melodico creato con un banjo, Prosthetic Love, perchè le buone idee si realizzano anche con pochi mezzi, le evoluzioni di Hunger and Thirst e il coro liberatorio sul finale di Young Feathers, che mi permette di citare ancora i Bruce Peninsula. E poi basta con le citazioni ed i riferimenti, godetevi le esternazioni a cuore aperto di questo grande cantastorie, il personale punto di vista sulla vita e sulla morte di uno che da bambino ha rischiato di morire per davvero, a causa della sindrome di Lyme, una grave malattia infettiva trasmessa dal morso delle zecche.
Poi un giorno vi racconterò di quella volta in cui ho dovuto strappare dalla pelle del mio cane, uno alla volta, quasi cento di quei parassiti schifosi, ma adesso vi ho fatto perdere già troppo tempo, smettetela di leggere e date una possibilità a questo ragazzo. Se la merita molto più di tanti altri.
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