Bon Iver
22, A Million
È una nuova crisi a smuovere larte, il cantautorato di Bon Iver. Arte messa, nelle vesti solo, in cantina per un lungo lustro (2011), benché poi, Vernon, non si sia certo sprecato per progetti paralleli (Volcano Choir, ormai del 2013) e collaborazioni delle più disparate - non stiamo ad elencarle. Tempo, troppo; a creare nel pubblico e nella stampa generalista una qualche rappresentazione (la luce emanata da Emma è ancora accecante, passate otto stagioni) messianica dellartista, padre di un nuovo corso per il pop tutto - e psiche collettiva figurarsi, con lannuncio di 22, A Million, gesta salvifiche.
Questa crisi, sbrigata in Grecia e fuori stagione, è disorientamento, precarietà nei confronti dellesistenza, del tutto (così, mentre aspetto in stazione, presto potrebbe essere finita, "22 (OVER S∞∞N)"), mesciata ai soliti temi sull'amore, la perdita ("Philosophize your figure/ what I have and haven't held/ you called and I came, stand tale through it all/ fall and fixture just the same thing"), retromania boniveriana sui suoi frammenti sentimentali e del passato. E quindi straniamento, destrutturazione, accumulo di simboli (la copertina) e visioni eteree, eterne, epiche, e in momenti normali (sharing smoke/ in the stair up off the hot car lot, "29#Strafford APTS") sprazzi di paganesimo postmoderno ("I find God and religions too.. staying at the Ace Hotel").
22, A Million è lo sforzo radicale, il travaglio post tabula rasa di idee ed estetica (ma il passato, le nevrosi sempre emergono, nei sintomi, nel suono: come qui, di conseguenza) a firma Bon Iver: sforzo estenuante, si percepisce pieno (con il nostro, a gennaio scorso, sul passo di abbandonare tutto), quando angoscia e bellezza non sai come canalizzare nella forma. Quando ci si àncora e si parte su di un loop di beat, e nel flusso passivo di rumorismi e increspature ambientali, motorik/marce Roland, autotune ovunque ("10 d E A T h b R E a s T"), stati eterei, aspettare (godot) lidea, il barlume che ispira. Che dia, nel mezzo, qualche risposta.
Falsetto autotune frontman (715 - CR∑∑KS", scheletro e momento tra i più avvolgenti del lavoro), nei rivoli vocali sempre vocoderizzati, e così anche le distorsioni sugli strumenti (dai synth, alla drum machine, le poche ma fondamentali chitarre quando spuntano), nellasse paradosso armonia/rumore, purezza/artificio. Paradossi (ying/yang, tornando ai simboli) che seguono lautopoiesi, la genetica boniveriana senza, si diceva, forma data (rare le eccezioni compositive, tra queste 00000 Million, purezza estrema e 29 #Strafford APTS), la quale invero si crea e cangia allinterno dei singoli brani.
In questi flussi random, sfuggenti, tra distese disarmoniche, gli squarci e melodie emergono. Eccome. 33 GOD, (dai moti Bon Iver, Bon Iver, ad esempio "Perth"), in blocco 29", l'estrema chiarezza di 0000 Million, i vapori di 8 (circle) - una Beth/Rest 2016? -, il sax di Colin Stetson (21 M◊◊N WATER). Ma non basta.
Non possiede (non ci si poteva illudere, per nessuna ragione), "22, A Million", lintensità e lo slancio estetico di Bon Iver, Bon Iver, non la disperazione idealizzata di For Emma, Forever Ago; "22" è, in definitiva, disco in moratoria, di ricerca interiore e forme altre, bellezza (quella vera) casuale e fatica compositiva manifesta.
E quindi no, non può bastare.
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