R Recensione

7,5/10

Deerhunter

Fading Frontier

Trentasette minuti, nove composizioni. In “Fading Frontier” i Deerhunter armonizzano e compattano i loro tratti entro una forma restaurata, purificata in senso (indie) pop. Che, dopo la tempesta, sembra tendere e attendere la quiete.

Restauro, appunto, scevro di eccessi e spigoli: contratto in flussi melodici ovunque (magnifica, ad esempio, la chiusura di “Duplex Planet”), sottratto totalmente dalle sozzure garage e dalle provocazioni dell’ultimo “Monomania”. Ripulito, anche, dalle progressioni cicliche di Lockett Pundt - nei fatti, punto di assoluta forza di Bradford Cox and co. altezza “Halcyon Digest” (“Desire Lines”, non a caso) e “Microcastle” (“Nothing Never Happened”). 

Il disco è prodotto assieme a Ben H. Allen (come ai tempi di “Halcyon Digest”), ed è il prodotto dello scontro tra idealizzazioni del passato, moratoria artistica e realtà presente (the amber waves of grey / are turning grey again: "Living My Life"). Il tutto è declinato in formati dream pop easy listening (“Living My Life”), all'interno di un jangle folk da revival anni ‘10 (so Real Estate: “Breaker”, con traino psych superiore); o condensato in pastiche lisergiche ("Ad Astra"), e più in generale riversato in un sound che non sempre snatura la cifra estetica del passato ("Duplex Planet", "All The Same"), ma che attraverso un songwriting eterogeneo fa della cura pop il suo pregio.

Così, le asperità tipiche del deerhunter sound ora appaiono addomesticate (“Snakeskin”: folk funk distorto, come), gli sbalzi d'umore sottratti al vortice e normalizzati, sublimati a mezz’aria nei sintetizzatori (“Take Care”) o in andature narcolettiche (“Leather and Wood”, sedato nel basso). Tutto ciò in funzione di una resa, di una gestalt, assolutamente pop.

Le liriche parlano in parte di desiderio di cambiamento ("All The Same": my home it's so cold / air-conditioned to the bone / take me anywhere / I could see a light out there) ma bloccato dalla volontà di tenere a distanza la lotta contro se stessi (da "Breaker": I'm still alive / and that's something / and when I die / there will be nothing to say / except I tried / not to waste another day / trying to stem the tide) i rischi e i pericoli (le conseguenze di cambiamenti estremi nel'identità sessuale, ancora in "All The Same": my friend's dad got bored / changed his sex and had no more). 

Il disco restituisce un Bradford Cox meno dipendente dall'esibire istrionicamente, in senso artistico, le sue vergogne; plasmato dagli eventi, storici e recenti (la fine di un amore, la malattia, un brutto incidente d'auto) e sceso a patti con le fatalità e i destini della (sua) vita. 

Certo aggrappato alle solite paure (le immagini di "Snakeskin": I was born already nailed to the cross / ... I was born with a crippled man on my back / ... I was dreaming of a man with a heart attack), ma con uno sguardo nuovo, che intravede speranza tra le brutture dell'esistenza ("Take Care": take care / lift the guard and you might find / your place in that life / a place where you found hope; o, in sé, la copertina: finestra/squarcio di oceano incastonato tra il lerciume della propria stanza/identità). Brutture come frontiere, ostacoli da dissolvere. 

Tra gli apici, "Fading Frontier", di questo 2015 - so far.

 

 

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 6 voti.
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Cas 7,5/10
B-B-B 6,5/10
Lelling 6,5/10

C Commenti

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loson alle 16:23 del 22 ottobre 2015 ha scritto:

Ero esitante e un tantino disinteressato ad approcciarmi a questo nuovo capitolo Deerhunter, ma la recensione ha fugato gli ultimi dubbi che avevo in proposito. Mauro foreva!

Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 21:02 del 22 ottobre 2015 ha scritto:

Pulitissimo e cristallino. Sono al secondo ascolto e questa "chiarezza" del suono è stata la prima cosa a colpirmi. Detto ciò, almeno due pezzi di rilievo: "Snakeskin", che conferma ancora una volta il talento compositivo della banda (il giro di chitarra del bridge è spettacolare, il resto mi ricorda Beck, fate un pò voi...), e "Duplex Planet", tutta sberluccicante e un tantino baroque pop anni '60. Vediamo se c'è dell'altro

hiperwlt, autore, alle 8:46 del 23 ottobre 2015 ha scritto:

Losone foreva too! Poi DEVI farmi sapere

Pulitissimo, vero Cas: parlavo appunto di cura pop come caratteristica che spicca di più, proprio l'opposto rispetto a "Monomania".

Ps: questa ve la devo dire: non mi capacito ancora (e sono passati 5 anni) della vostra riluttanza per "Desire Lines", Mattei! Tra i pezzi della vita, Brain Eno complice secondo me ( "Needles in the camel's eye"?)

Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 8:52 del 23 ottobre 2015 ha scritto:

eeeh quell'album lo dovrei riascoltare, possibilissimo che negli anni sia cresciuto...

comunque, per quanto mi riguarda, ne ho scritte di fesserie nel tempo... non mi stupirei se oggi mi ritrovassi ad amare quel pezzo

REBBY alle 9:23 del 17 novembre 2015 ha scritto:

Mi approprio della chiosa finale ("Fading frontier: tra gli apici di questo 2015"), ma tutto ciò che scrive Mauro rappresenta anche il mio pensiero.