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R Recensione

6,5/10

Frightened Rabbit

Pedestrian Verse

Scott Hutchison denota un’incorreggibile propensione a schermirsi e dubitare di sé. Anche per questo, forse, sua madre da piccolo lo chiamava affettuosamente “il coniglio spaventato”. Nomignolo che, crescendo e acquisendo un certo grado di sicurezza nei propri mezzi, ha cercato di scrollarsi di dosso proiettandolo sulla band di cui è il cantante, chitarrista e sostanzialmente il leader, i Frightened Rabbit appunto. Ma le vecchie abitudini sono dure a morire, si sa. E così, anche adesso che il quintetto di Glasgow è diventato una realtà di primissimo piano dell’indie rock britannico, ora che dopo tre dischi di buon livello (su tutti “The Midnight Organ Fight” e  “The Winter Of Mixed Drink”) e di una certa notorietà sembrano pronti per il grande salto con una major (la Atlantic), quella mania di sminuirsi riemerge puntualmente suggerendogli un titolo sintomatico per il nuovo album: “Pedestrian Verse”.

E dire, invece, che i testi sono sempre stati uno dei punti di forza di Hutchison e del gruppo in generale, introspettivi e ricchi di metafore vivaci, apologhi sentimentali caratterizzati da un’ironia amara e pungente e da un antieroismo a tratti un po’ compiaciuto. Liriche che si abbinano musicalmente a movenze tardo post-punk in equilibrio fra chitarre (corpose) e tastiere (più sfumate), armonie indie-pop tipiche dei dintorni di Glasgow, cascami folkish  acustico-pianistici e una certa attitudine emo, ma solo nel senso melodico del termine, con la voce di Hutchison, alta, imbronciata e un po’ nasale che definisce il tutto con il suo aspro e lamentoso accento scozzese. Nel corso degli ultimi sei il gruppo – completato dal chitarrista e bassista Billy Kennedy, dall’altro chitarrista Andy Monaghan, dal tastierista Gordon Skene e dal fratello di Hutchison, Grant, alla batteria –  ha perfezionato la ricetta aggiungendo un po’ di questo e togliendo un po’ di quello, ma senza mai perdere la bussola, né osare più di tanto.

Un’efficacia, una piacevolezza di fondo che è sempre stata un pregio ma anche un po’ un limite dei Frightened Rabbit, finora, e che ritorna anche in “Pedestrian Verse”, il quale mette in mostra, rispetto ai precedenti, una produzione più accentuata, brillante e flessuosa, più rock e immediata insomma, affidata a Leo Abrahams polistrumentista e già collaboratore di Eno e Jarvis Cocker. La scrittura, che qui gioca più del solito sul contrasto fra la strofa malinconica e arpeggiata e il crescendo possente del ritornello, è comunque apprezzabile, con le chitarre che si stagliano e le tastiere a rifinire e dare atmosfera. Specie quando il gruppo accelera e compatta i volumi in brani anthemici ma non stucchevoli come “Backyard Skulls”, con le sue strie intense e luccicanti di tastiere, e la trascinante “Holy”, entrambe tirate e pop al punto giusto, o quando gioca su un passo più marziale e altalenante (“The Woodpile”, “Acts Of A Man”), anche se non evita qualche passaggio a vuoto (la prolissa “Dead Now” o “Nitrous Gas”).

I brani più ispirati, in ogni caso, sono quelli in cui i Frightened Rabbit finiscono per assomigliare, anche solo per i mutui rimandi a certi U2 di metà anni 80, ad una versione più modesta e prosaica degli Arcade Fire, con i barocchismi dell’intarsio fra piano-tastiere e chitarre, i saliscendi ritmici, un uso calibrato dei cori e naturalmente le solenni melodie di “December’s Tradition” e “State Hospital”, i brani migliori del lotto, la seconda resa ancor più pregevole dal testo di Hutchison che tratteggia un toccante ritratto femminile, dall’ospedale dei poveri del titolo ad un matrimonio infelice, quasi degno di una commedia proletaria di Ken Loach. Le inflessioni pop-folkish del passato recente sopravvivono, in parte, grazie a “Late March, Death March” e “The Oil Slick”. Un album tutto sommato discreto, questo quarto lavoro dei Frightened Rabbit, che tuttavia non compiono l’auspicato salto di qualità ma sembrano, per ora, crogiolarsi in una cesura un po’ irrisolta fra le origini alternative e nuovi - più ampi ma anche più uniformanti - orizzonti pop-rock

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