Car Seat Headrest
Teens of Denial
Era a Marina di Ravenna, la scorsa estate. Non sulla spiaggia dellHana-Bi con il tramonto alle spalle, ma proprio sulla banchina del porto, tra vecchie piadinerie e il passaggio di enormi navi ricolme di container dirette verso Porto Corsini. Dopo il bel concerto dei Car Seat Headrest mi sono avvicinato al banchetto del merchandising per acquistare lultimo disco della band, Teens of Denial, che però non vedevo esposto: già esaurito (mmm)? Celato sottobanco (mah)? Nessuna delle due, peggio: non era ancora disponibile. La band dunque andava in tour senza che il disco fosse uscito? La strategia commerciale di una volpe. Alla mia faccia perplessa, «Havent you read? We had an issue », mi fa il bassista. E qualcosa mi viene in mente: qualche pagina di Pitchfork in cui si diceva che il cantante dei Cars, Ric Ocasek, dopo aver dato il proprio assenso per riusare parte della sua Just What I Needed, lo aveva ritirato poco prima della pubblicazione di Teens of Denial, costringendo la Matador a distruggere tutte le copie del disco già stampate e destinate al mercato (con perdite stimate attorno ai 50 mila dollari).
Ora, già che ci fosse una disputa legale tra Cars e Car Seat Headrest mi sembrava un notevole cortocircuito; che poi tutto ciò portasse allaborto del primo vero disco pubblicato dalla band di Will Toledo per unetichetta ufficiale (il precedente Teens of Style era unantologia dei numerosissimi, e tutti autoprodotti, dischi precedenti) era la certificazione di un destino a me caro: quello dei falliti.
Il pezzo più bello di Teens of Denial si chiama The Ballad of the Costa Concordia: un titolo che merita amore anche senza una canzone dietro. Qua invece c'è, dura più di 11 minuti, ed è una meraviglia. Mentre dunque il bassista mi spiegava perché lalbum nuovo non fosse disponibile e io mi peritavo di comprargli almeno quello vecchio, al passaggio dellennesima nave alle nostre spalle suggerisco: be, peccato che non abbiate suonato il pezzo sulla Costa Concordia con questo sfondo sarebbe stato perfetto. Lui sorride uno di quegli amari sorrisi americani. "Bye". "Bye".
Pitchfork ormai delle chitarre se ne frega, ma una cosa giusta lha detta, su questo album ammantato dalla sconfitta: ogni generazione ha bisogno di un disco rock che la rappresenti, da cantare tra rabbia e scazzo, furia e inni alcolici. È più di un bisogno, anzi: è un diritto. Negli ultimi dieci anni mi sembra che quei dischi siano stati essenzialmente due: The Airing of Grievances dei Titus Andronicus e questo. La peculiarità che li caratterizza, rispetto allo stesso tipo di disco generazionale uscito negli anni 80 o 90, è la consapevolezza che ormai non è più il rock a veicolare e intercettare questa esigenza. È, insomma, la coscienza di essere destinati a fallire su tutti i fronti, anche come portavoce. Se si riuscirà a esserlo, sarà solo per i residuati, i marginali, gli esclusi, i sopravvissuti, gli sfigati. La potenza del vecchio rock risvoltata fatalmente nel suo contrario. Pisciare allaperto controvento, sbronzi.
Sul disco vorrei dire poco, meno di quanto abbia mai detto a proposito di qualsiasi altro disco. La frase con cui si apre il primo pezzo è: «Im so sick of (fill in the blank)». Mi sembra un incipit meraviglioso, in linea con lintelligenza di tutta la scrittura di Toledo (è un disco colto, questo per lapprossimazione americana del termine, naturalmente). Siamo stanchi di talmente tante cose che lasciamo allascoltatore dire di quale. Andrà bene una qualsiasi, certo.
Sì, questa è la solita gioventù che si lamenta, annoiata di avere tutto, colpevole di avere «no right to be depressed» ma depressa comunque. Teens of Denial è un disco di deboscio triste, incazzatura rappresa, rassegnazione, rivolte invisibili e private, merdoni in sequenza, deriva. Lo dice con chitarre classicamente indie rock, la voce smorta ma a tratti furente di Toledo, ritornelli che si ficcano in testa infidi, ricordi del migliore Bright Eyes e dei migliori Strokes, testi consapevoli del disastro ma anche dellinsensatezza del disastro, canzoni eccellenti (Vincent, Drunk Drivers/Killer Whales, Cosmic Hero) o poco meno che eccellenti ((Joe Gets Kicked Out of School for Using) Drugs With Friends (But Say This Isnt a Problem)- che è un piccolo e devastante trattatello di sociologia giovanile, Destroyed by Hippie Powers, 1937 State Park), qualche intervento di organi, tromba, sassofono, giochini citazionisti a go-go, ad esempio una The Ballad of the Costa Concordia (ho già detto che è uno dei pezzi dellanno?) in cui a metà fa capolino il ritornello distorto in versione arrendevole di White Flag di Dido.
«You share the same fate / as the people you hate», si dice in Drunk Drivers/Killer Whales.
Allarrivo, per fortuna, non vincerà nessuno.
E chi lo sa fin dallinizio avrà sempre la mia e (mi permetto di dirlo, a nome della redazione) la nostra stima.
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