R Recensione

8/10

Live Footage

Doyers

L’insuperato Orson Welles affermava che: «L’assenza di limitazioni è nemica dell’arte». È proprio da questa proposizione che nasce l’idea di “Doyers”, il nuovo LP dei Live Footage (al secolo Topu Lyo e Mike Thies), un disco molto affascinante, pur sempre autoprodotto, pensato in otto brani e giunto infine a raccoglierne ben diciassette. Il sound del duo di Brooklyn è ancora una volta artigianale e prende in prestito dal nu jazz le ritmiche e dal trip hop i giochini elettronici. I Live Footage suonano con calma e pazienza, tenendo le batterie in uno stato di ossessiva iterazione e lasciando agli strumenti elettroacustici la libertà di muoversi in questi 4/4. Tutte quelle derive elettroniche che personalmente ho sempre trovato deliziose, in “Doyers” ci sono e vengon fuori con estremo garbo: dal dub dei Thievery Corporation all’acid jazz dei Jazzanova, dal lo-fi di Kruder & Dorfmeister al trip hop dei Portishead, passando per i trucchetti ritmici di Four Tet e le pulite ripartenze di Caribou.

Veloci corrono “Brooklyn Bridge” e “Foresight” per dar subito spazio al primo gioiellino del disco, “Going Somewhere”, un brano del tutto simile alle produzioni di Casino Versus Japan, downtempo e tanta elettronica: languidi pad affiancano una batteria intensa e perfettamente cadenzata, le basse frequenze in evidenza che dolci accarezzano l’orecchio dell’ascoltatore, finché chiudendo gli occhi le sottili tastiere ci cullano come bimbi. Ogni pezzo si presenta come il naturale proseguimento del precedente, quasi fossimo di fronte ad un mixtape. Se “Secret Cricket Meeting” si muove ancora su incastri tipicamente trip hop, la successiva “Just Moving Parts” mima un gioco di slanci e rilanci sonici, tra echi e delay che allungano i segmenti sonori fino ad impastarli amabilmente. “Mortality” ricorda invece gli ultimi Tosca, con flemmatici passaggi ritmici uniti ad un ben congeniato climax di sintetizzatori, talmente ben congeniato da sembrare un’improvvisazione live; “Ant Colony”, a sua volta, ricaccia il lato british del duo attraverso un utilizzo delle macchine digitali degno dei primi Massive Attack.

Con “Caipirinha”, secondo gioiellino del disco, tornano alla mente le sonorità cool in voga dieci anni or sono, dal garage al 2-step, e i BPM si fanno più veloci e travolgenti; “Asian Crane” e “Korean Tea Shoppe” rivangano invece le contaminazioni orientali in una formula insolitamente strutturata vicina al post-rock degli Arab Strap prima e al synthpop degli O.M.D. dopo. Gustosissimo relax in “Lucien”, casalingo drum’n’bass in “New Breed”, fragorose jam con “1:40 AM” e “Van Damme”, poi rimembranze ambient nella stupenda “Airport Farewell” che diventano una sorta di lungo addio al passato ingombrante. “Doyers”, dopo aver dimostrato con “Computer is Free” che molte delle potenzialità della nuova musica digitale sono ancora inesplorate, va a concludersi tra le braccia di “Purgatory (The Storm Has Passed)”, un pezzo di cui è difficile non innamorarsi.

I Live Footage hanno azzeccato il timbro e il mood, ed anche se questo disco può apparire leggermente fuori tempo massimo, vista l’appartenenza musicale con cui inconsapevolmente lega (i suoni sono molto fine anni ‘90), resta un gran disco di musica urbana e metropolitana, organica ed onesta, razionale ed ordinata. Un disco di bellissima musica americana.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 1 voto.
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