Arctic Monkeys
Favourite Worst Nightmare
Adesso, a un anno di distanza dalla sua uscita, possiamo anche dirlo:
Quel “Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not” ovvero il “bollente” esordio di questi quattro adolescenti brufolosi di Sheffield, pur non essendo quel capolavoro che alcuni giornali (soprattutto inglesi) vogliono farci credere, è davvero un gran bel disco.
Quell’esordio aveva infatti dentro di sé una carica, un esplosività e una personalità strafottente davvero contagiose.
Sarà per quella batteria sfrragliante e dinamica che andava a braccetto con un basso “frizzante”, formando così una sezione ritmica fresca ed entusiasmante, quei riff taglienti e incisivi, quelle ritmiche ballabili, quella sfrontatezza e l’incoscienza tipiche delle band giovani e ferventi, ma effettivamente non si poteva fare a meno di apprezzare quella manciata di canzoni, non si poteva non scuotere la testa in segno di approvazione, totalmente sopraffatti dal “tiro” micidiale che le accompagnava.
Ora, a un anno di distanza, tutto è cambiato nelle loro vite:
Il successo per questi ragazzi poco più che ventenni è arrivato in modo graduale ma veloce, come un treno che non fa fermate e che dalla periferia di Sheffield porta dritto verso la suggestiva metropoli londinese.Da perfetti sconosciuti, si sono ritrovati su ogni copertina dei magazine specializzati.
Se prima suonavano in piccoli pub, ora suonano nei prestigiosi festival di tutto il mondo, passando così dal regalare i cd-r a fine concerto, alla possibilità di vantare con fierezza il record del disco d’esordio che ha venduto più velocemente in Inghilterra, detenuto in precedenza dagli Oasis, nonchè il prestigiosissimo Mercury Music Prize del 2006.
Sono riusciti persino a cambiare bassista in corsa, presentandoci il nuovo Nick O' Malley, subentrato al simpatico ma ormai congedato Andy Nicholson …
La seconda prova diventava quindi un terreno di verifica e conferma di quelle ottime qualità espresse nel primo disco e di quel successo di massa ottenuto così presto, ma anche un modo per allontanare le voci dei detrattori che scommetterebbero ad occhi chiusi sul tonfo fragoroso dei Monkeys alla seconda manche.
Perché si sa, la stampa inglese non ha mezze misure sia nelle critiche che negli elogi, distruggendo o pompando fino allo sfinimento i suoi pupilli, rischiando così di deprimere o ancor peggio, di montare la testa soprattutto alle band giovani e inesperte, per poi lasciarle cadere con un tonfo nella polvere.
Dopo questa premessa, è facile immaginare quale sia l’interesse che gira intorno a questo “Favourite Worst Nightmare”.Un’attesa a dir poco spasmodica, forse anche troppo, considerato che se non è il disco più atteso dell’anno dopo quello dei Radiohead o giù di li, poco ci manca.
E il benvenuto, è bene dirlo subito, è dei più calorosi e convincenti, con il singolo apripista dell’album “Brainstorm”.Un inizio ai 100 all’ora, esplosivo, tirato, potente e furioso. Una cavalcata a testa bassa e contro vento, sorretta da un riff “primitivo” e accompagnata dal solito cantato “effettato” e maledettamente cool di Alex Turner.
Il messaggio è chiaro: “Siamo tornati e siamo sempre noi!”
La carica e l’energia, quasi fossero stata “congelate” in tutto questo periodo, ritornano decuplicate e il divertimento resta sempre lo stesso, per una miscela decisamente affascinante. Tutto, incredibilmente, appare come un anno fa: persino il nuovo bassista sembra essersi già ambientato, impegnato com’è a macinare note su note senza un attimo di sosta.
La voglia di iniziare con il botto infatti è percepibile fin dalle prime battute, così come il desiderio di convincere e sorprendere anche alla seconda fermata, laddove illustri colleghi hanno fallito clamorosamente.
Il primo punto che va chiarito fin da subito è che le scimmie artiche, pur non potendo più contare su un effetto sorpresa detonante, non si sono spostati molto dal sound del primo disco, confermando la logica regola per cui squadra vincente non si cambia.
Quello che però va detto è che questo “Favourite Worst Nightmare” non è un inutile copia dell’esordio, ma un disco in qualche modo “diverso”, forse un po’ meno incisivo, meno istintivo e un po’ più “scritto”.
È un disco meno immediato, che cresce con gli ascolti e richiede qualche attenzione in più rispetto all’esordio per essere “metabolizzato” e “assimilato”.
Una volta “assorbito” però, viene difficile dimenticare canzoni come “Teddy Picker” e “The Bad Thing”, orecchiabilissime e contagiose, il suono “aperto” alla Strokes di “Fluorescent Adolescent” (prossimo singolo in programmazione), il ritmo ballabile di “D Is For Dangerous” e “Old Yellow Bricks”, i riff che si rincorrono in “Balaclava”, il crescendo della conclusiva “505” e la potenza e l’energia di “This House Is A Circus”.
Tuttavia la formula appare sfocata e “appesantita” in alcuni episodi: come “Only Ones Who Know”, che prova a fare la “Riot Van” della situazione riuscendoci solamente in parte e risultando una copia sbiadita dell’originale, o la trascurabile e insipida “Do Me A Favour”, che scivola via senza particolari sussulti.
Arrivati alla fine del disco ci si chiede: promossi o bocciati? E non c’è esitazione alcuna:
Promossi. Anche se forse l’esordio era meglio, anche se non è un capolavoro, anche se non aggiunge nulla a quello fin ora espresso…Promossi. Perché in questi periodo, ben vengano dischi “spontanei” e “travolgenti” come questo, capaci di allontanare con “rabbia” e “determinazione” le critiche inutilmente sollevate…
Promossi: perché se è questo che interessava sapere fin dall’inizio della recensione: si, le scimmie artiche non hanno fallito la seconda prova e si candidano per il secondo anno consecutivo a dominare le playlist in ogni angolo del globo…Tanto vale farsene subito una ragione.
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