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R Recensione

7/10

The Pains of Being Pure At Heart

Belong

L’esordio dei Pains of Being Pure at Heart è stato in un certo senso un punto d’arrivo e di partenza: primo, perché ha condensato in modo definitivo tutta l’estetica indie/twee pop degli anni Zero, connotata da freschezza melodica e da arrangiamenti squillanti ed elettrici, nel classico stile jingle-jangle, sfumati dietro una caratteristica patina di feedback; secondo, perché ha rappresentato un punto di riferimento imprescindibile per varie band successive (se si analizzano le recensioni di dischi di questo genere dal 2009 in poi si troverà quasi sempre il loro nome), vedi Wild Nothing, Minks e altre ancora.

La situazione quindi a tre anni di distanza dal personale debutto vedeva il sound della band riproposto in numerose forme, tanto da non da costituire più una novità (è vero che gli stessi Pains facevano riferimento a una materia indie-pop già ampiamente consolidata, ma nel 2008 rappresentavano comunque qualcosa di “nuovo” e sorprendente). I quattro ragazzi di New York hanno perciò ragionato a lungo circa la strada da intraprendere nell’atteso sophomore, e l’ispirazione decisiva è arrivata sicuramente alla notizia di dover collaborare con due mostri sacri della produzione discografica: Flood e Alan Moulder. Lavorare con gente che ha prodotto capolavori come Siamese Dream o Mellon Collie And The Infinite Sadness, per non parlare delle collaborazioni con My Bloody Valentine, Ride, Jesus And Mary Chain e tantissimi altri, senza ombra di dubbio ti fa fare un enorme balzo in avanti in termini di ambizioni e aspirazioni (facile immaginare il timido Berman che già si vede nell’Olimpo insieme al Billy Corgan dei tempi migliori!).

E infatti già dalle prime note della title-track si nota un corposo cambio di stile, che nel corso del disco seguirà principalmente due strade di ampliamento del sound standard della band: 1) da un lato il potenziamento delle strutture chitarristiche attraverso l’inserimento di distorsioni e riff grunge targati Smashing Pumpkins e 2) dall’altro, uno spazio inedito riservato ai synth, che in vari casi conferiscono un gusto tipicamente anni ’80 alle composizioni. In Belong, insomma, ci troviamo di fronte a una band che prende maggiore coscienza delle proprie capacità a livello di arrangiamenti e di melodie e cura con diligente attenzione i dettagli, avventurandosi con più frequenza in trascinanti intermezzi e code strumentali al limite del wall of sound anthemico. E se forse si perde qualcosina in immediatezza melodica, non si può parlare tuttavia di snaturamento del sound originario, ma semplicemente di uno spostamento di baricentro, da un ingenuo e acerbo twee-pop a un più maturo e consapevole connubio di varie influenze dallo spettro più ampio.

E così, se da una parte la già citata Belong (con una progressione strumentale che sembra uscita da Siamese Dream), l’incedere spedito, con echi noise-pop di inizio anni Novanta, di Heaven’s Gonna Happen Now e il punk-pop adolescenziale (e bruttino, a dir la verità) di Girls Of 1000 Dreams rappresentano una volontà nemmeno troppo celata di conferire toni più “universali” a un genere da cameretta come l’indie-pop, dall’altra emergono ottime riproposizioni di stilemi post punk/synth pop, come avviene nell’asettico singolo Heart In Your Heartbreak, nell’esplosione di tastiere dai mille colori di The Body, o nell’irresistibile slancio pop di My Terrible Friend (con ritornello sintetico in stile OMD!). Anne With An E, ballata à la Belle & Sebastian dalle atmosfere evanescenti, e la sognante ma solida Even In Dreams sono i punti dal più spiccato umore malinconico e disincantato, mentre il duo finale Too ToughStrange propone delle entusiasmanti cavalcate shoegaze che chiudono in bellezza il disco.

Un disco che presenta sì qualche momento di stanchezza melodica (laddove nel debutto era tutto un susseguirsi di melodie dall’impatto immediato), ma che comunque ci consegna il quadro di una band in evoluzione e per nulla ferma. In attesa di un disco più definitivo, prendiamo con piacere.

V Voti

Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 19 voti.
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Teo 7/10
target 7/10
4AS 4/10
mavsi 5/10
REBBY 8/10
Sor90 7,5/10

C Commenti

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bill_carson (ha votato 6 questo disco) alle 11:57 del 30 marzo 2011 ha scritto:

carino

come il primo, ma non ci trovo niente che li ponga al di sopra della media dle genere.

salvatore alle 16:52 del 30 marzo 2011 ha scritto:

Mi sa che la primavera ora possa ufficialmente iniziare. Trovo che i "puri" siano diventati un tantino più estroversi... Meno bello del precedente, ma mi sembra, dopo un paio di ascolti iniziali, un ottimo lavoro...

synth_charmer alle 16:55 del 30 marzo 2011 ha scritto:

RE:

"Mi sa che la primavera ora possa ufficialmente iniziare" -> appena l'hai detto qui è iniziato a piovere!!

Filippo Maradei alle 17:25 del 30 marzo 2011 ha scritto:

RE: RE:

Ma se c'è un sole che spacca le montagne! XD

synth_charmer alle 17:26 del 30 marzo 2011 ha scritto:

RE: RE: RE:

se, sul tuo desktop forse

salvatore alle 19:03 del 30 marzo 2011 ha scritto:

RE: RE:

Naaaa, la pioggia è solo uno stato emozionale... Buaaah!!!

Poi è ovvio, Charles, che piova da te, se mi stai ad ascoltare gli FRDCKBvdubNMECV...

A me sono venuti i reumatismi solo a leggere i commenti

Ad ogni modo, piove anche qui, con tanto di temporale!

target (ha votato 7 questo disco) alle 19:18 del primo aprile 2011 ha scritto:

Paraculi quanto si vuole, ma a me continuano a piacere. Poco da aggiungere all'ottima recensione: in effetti il suono e i modelli di riferimento sono cambiati rispetto all'esordio, e più che gli Smashing Pumpkins (meglio, oltre a loro) io ci sento alcune loro riproduzioni brit da serie cadetta ("Girl of 1000 dreams" sembra degli Ash, per dire, e non è il solo pezzo qui dentro) un po' più leggeri delle zucche. Insomma, grazie alle chitarre più muscolose e all'uso dei synth, ci sono più anni '90 di prima, ecco, e la cosa mi garba assai. Per quanto il mio apice sia forse "The body", che è Joy Division (la linea vocale della strofa) + New Order (quella del ritornello, che è un pezzo a caso cantato da Sumner, e pure le percussioni sono Morris a go-go).

Charisteas (ha votato 7 questo disco) alle 21:52 del primo aprile 2011 ha scritto:

Penso sia un disco decisamente primaverile, rilassante e senza grosse pretese. Alcune canzoni puzzano un po' di già sentito (tipo Heart in your Heartbreak, anche se ha un ritornello dannatamente canticchiabile).

Sor90 (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:55 del 2 aprile 2011 ha scritto:

Questo è il disco che mi serviva in questo momento! Me lo sto gustando, meglio del primo!

4AS (ha votato 4 questo disco) alle 19:33 del 5 aprile 2011 ha scritto:

Nel primo disco, scopiazzando qua e là, erano riusciti a tirar fuori qualche melodia accattivante, anche se davano l'impressione di essere un gruppo ancora immaturo e con poca personalità. Qui la situazione peggiora: riproposizione degli stessi difetti del primo con l'aggravante che mancano proprio le canzoni. Ritornelli forzati e scontati (come in Heart In Your Heartbreaks, banalissimo anche quello di Even In Dreams, fa cadere le braccia) e, quando non ci sono i ritornelli, si affidano alla solita tastierina anni 80 (la patetica My terrible friend, sorta di scarto dei peggiori Cure synth-pop). Annie with an E ha invece una scrittura più solida, sembra un pezzo dei Jesus & Mary Chain più morbidi. La seconda parte del disco se la potevano risparmiare: stendiamo un velo pietoso su Girl of 1,000 Dreams e Strange, francamente inutili. Occasione persa, hanno preferito svolgere il compitino e lo hanno fatto pure male.

redskin78 (ha votato 8 questo disco) alle 9:25 del 13 gennaio 2016 ha scritto:

a me è piaciuto, bel disco, voto 8 come giulio brusati di repubblica

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 15:28 del 6 giugno 2011 ha scritto:

Nulla da aggiungere alla recensione di Gioele, dice quello che penso anch'io, persino che l'unico pezzo "bruttino" è Girls of 1000 dreams (per fortuna è anche il più corto eheh). Meno fresco, ma più vario dell'esordio: un altro disco godibilissimo.