V Video

R Recensione

7,5/10

Błoto

Kwiatostan

A fidarsi delle dichiarazioni dei diretti interessati, pare che non volessero lasciarci troppo a lungo con del materiale – bontà loro! – vecchio già di un paio d’anni. Così, mentre intorno a loro la Varsavia flagellata dalla pandemia e destabilizzata dalle tensioni interne si chiudeva a riccio in una corazza di impenetrabile e rassegnato fatalismo, i breslaviensi Błoto (lo ricordiamo, quattro sesti degli EABS) si ritrovavano negli scantinati del recentemente aperto jazz club Jassmine per mettere a punto nuove idee e fissare in forme definite, lungo tre intensi giorni di jam, i brani che vanno oggi a comporre la tracklist del secondo “Kwiatostan” (seicento copie numerate in vinile per Astigmatic, andate sold out in una manciata di ore). Sarà la particolare contingenza storica, lo stato di forma della scena jazz polacca, l’ispirazione della band, o più probabilmente tutte queste variabili mescolate a chissà quante altre ancora: fatto sta che, dopo aver consegnato ai registri un esordio di fuoco (le improvvisazioni notturne di “Erozje”), “Kwiatostan” produce l’effetto di una riconferma imperiosa.

Rispetto al precedente capitolo, costruito obliquamente a partire da un minimo comune denominatore jazz-hop, “Kwiatostan” allarga sensibilmente il diapason delle proprie dirette fonti ispiratrici. Pertinenti (fin troppo pertinenti, direbbe forse qualcuno) continuano a rimanere i riferimenti a certi giovani act capofila del nu-nu-jazz in missione per conto di chi verso un’ibridazione totale della tradizione bop cinquanta-sessantiana, BADBADNOTGOOD in testa (il giro di basso di Paweł Stachowiak-Wuja HZG in “Chryzantema”, su cui vengono intrecciati grigiastri bizantinismi d’archi sintetici à la Jacaszek, ricorda da vicino quello di “Weight Off”, dalla collaborazione con KAYTRANADA; il flow di Anthony Mills aka Toni Sauna nella compatta “Hortensja”, unico brano con voce, è al livello di quello del Mick Jenkins di “Hyssop Of Love”), ma la varietà stilistica di cui si ammanta questa scaletta è a tratti destabilizzante. Dovessimo elargire voti nel dettaglio, lievemente meglio la seconda parte (“Kwiaty Ogrodowe”) della prima (“Kwiaty Rolne”): questo, in primo luogo, per la presenza di un trittico d’oro quale “Jaśmin” (la post-fusion astrale che Kamaal Williams non ha ancora scritto, un groove millimetrico trainato dai synth ondulati di Marek Pędziwiatr-Latarnik), “Chabry” (una casa degli orrori gotica che prende forma sotto uno staccato pencolante di piano) e la conclusiva “Niezapominajka” (un breve, minimale esercizio di chill out a sfumare, su cui ruggiscono i sax in disfacimento di Olaf Węgier-Książę Saxonii). A spiccare per eterogeneità, nei primi venticinque minuti, sono piuttosto i due singoli trainanti: da un lato il noir ipercinetico di “Rzepień” (attacco downtempo, dissonante evoluzione trip hop ridotta ad allucinato duello tra sax e vibrafono, sospesa coda cinematica), dall’altro le orgiastiche acidità post-free jazz di “Mak”, nella cui seconda metà fanno nuovamente capolino quelle dinamiche clubbing portate più efficacemente a compimento in “Mlecz” (Marcin Rak-Cancer G qui in versione beat scientist).

Dzięki, chłopaki, to jest super!

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.