R Recensione

6,5/10

Ivo Perelman, Joe Morris & Balázs Pándi

One

"Ivo Perelman da San Paolo è uno dei numerosi santoni del free jazz contemporaneo. Uno dei maestri riconosciuti del sassofono tenore, strumento cardine che alimenta le evoluzioni più spericolate del genere sin dai tempi in cui ci soffiava dentro l'anima John Coltrane.

Sono già al punto cruciale: l'anima. Quella che per lunghi tratti sembra mancare a questo sfoggio di libertà in musica. Non pretendevo nulla di rivoluzionario (dopo “For Alto” è stato difficile trovare intuizioni veramente esplosive anche in ambito free jazz, e sono passati quarant'anni - ok, esagero un po'), ma forse era lecito attendersi qualcosa di più coraggioso. Il problema è che questo lavoro non è propriamente emozionante o gravido di idee, non cava molto dai fantasmi assiepati fra i nostri neuroni, non butta nessuna bomba al napalm, non lancia fulmini nei nostri occhi annebbiati.

Il disco, inciso in trio con Balázs Pándi, batterista di origini ungheresi, e il bassista Joe Morris, consta di sei brani che di fatto cristallizzano il flusso del free jazz.

Si inchinano ai suoi dogmi, ovvero (paradossalmente) alla sua libertà formale assoluta, con il batterista che sprigiona giri e rigiri sui piatti come fosse sotto l'effetto di qualche fungo, Morris che schiaffeggia il basso elettrico (con cui si cimenta per la prima volta) e Perelman che in qualche modo si traveste da sacerdote e celebra le nozze d'oro dell'ultima utopia jazz.

Nessun delirio orgiastico, in ogni caso. Questa è una festa studiata in laboratorio e sin troppo attenta quando segue le orme lasciate dai grandi della musica libera. Perelman si attiene ai codici in vigore, e questo è il limite che accomuna molti grandi del jazz contemporaneo, anche quelli che appaiono più spregiudicati: frantuma (per l'ennesima volta) ogni ordine tradizionale, ma di fatto è la solita frittata; si dedica con tutto il corpo al dis-ordine, anche con classe e una certa personalità (il suo sassofono vomita onde enormi, assembla rumori su rumori, dissonanze ai limiti del sopportabile per chi è poco avvezzo al genere), ma senza entusiasmare. Senza cercare sé stesso: la triste verità è che la musica più svalvolata del mondo, da tempo, è diventata a sua volta una gabbia.

Non volevo sdoganare il temine, ma forse mi tocca farlo: questo sembra un lavoro discreto ma scolastico, buono per chi consuma dosi importanti di free anche a colazione (io l'ho fatto), ma che forse dirà poco o nulla a chi non cerca ancora in questo tipo di musica una scossa elettrica.

Dimmi la tua, Marco."

"Due terzi della formazione che suona attivamente su “One” è stata, recentemente, protagonista di “Black Aces”, altra uscita chiave della RareNoise, a nome Slobber Pup. Quell'indefinito ed indefinibile marasma impro-grind che si agitava inquieto, per oltre un'ora, si ripropone qui, senza sostanziali variazioni. Manca l'organetto di Jamie Saft, ci sono risparmiate le mirabolanti contorsioni modali della chitarra di Joe Morris, che sostituisce al basso Trevor Dunn, ma il demonio ritmico è sempre lui, il magiaro Balázs, sultano dell'asimmetria e, passando al rema, il sax tenore di Ivo Perelman è il nuovo elemento che trascina nello scompiglio le strutture dei sodali. La recensione potrebbe concludersi così. Hai utilizzato un aggettivo che calza alla perfezione, “scolastico”. Il che mi fa cogliere la palla al balzo, per parlare di una dicotomia che, nelle arti e nella vita, considero umilmente fondamentale. L'osservazione del mondo che mi circonda ed il riflesso delle attività altrui mi ha portato a concludere che esistano due tipi di bravura: quella che si attiene alle regole, e quella che le regole le piega, le riplasma, le trasforma. A me attira maggiormente quest'ultima, che è bizzarra ed incostante, lunatica e inaffidabile, performativa e tellurica. Dappertutto viene preferita la prima, che garantisce continuità, ma soffoca l'ingegno, ed impedisce lo sviluppo di una seria autonomia. Se si eccettuano la frenesia colemaniana di “Freedom” (costruzione speculare a quelle dello storico “Song X”, ma senza la glassa della sei corde di Pat Metheny) e il bel dialogo tra MorrisPándi in coda a “Universal Truth” (uno dei rarissimi momenti, non a caso, in cui tace l'ottone), di “One” non rimane assolutamente nulla da ricordare. Un po' come chi torna a casa da un esame di letteratura, con il massimo dei voti nel libretto ed una miscellanea di autorevoli giudizi critici a sovrapporsi al proprio gusto. Tutto sommato, semplice. In fin dei conti, ben poco coraggioso.

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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gbruzzo (ha votato 8 questo disco) alle 14:59 del 5 novembre 2013 ha scritto:

Buongiorno!

preso atto e ringraziandovi della vostra approfondita recensione, vorrei condividere un'informazione con voi della quale forse non eravate a conoscenza, per invitarvi a riflettere di nuovo sulle nozioni di "studio a tavolino" e scolasticita' che voi attribuite a ONE: Le tracce che si ascoltano su ONE non sono state affatto studiate a tavolino, ma rappresentano invece le prime ed uniche take effettuate da Balazs Pandi ed Ivo Perelman (Morris condivide invece grandi parti della sua discografia con Ivo, e con Balazs ha gia' suonato, su Black Aces degli Slobber Pup appunto, sebbene come chitarrista).

One e' tutto li - una prima presa diretta, una testimonianza di un incontro.

Ho qualche riserva sulla definizione di Slobber Pup come gruppo impro-grind - sarei piu' incline ad accostare lo spirito di quell'operazione ai primi Lifetime o alla primissima Mahavishnu Orchestra.

Grazie infinite

Giacomo Bruzzo

Marco_Biasio, autore, alle 15:33 del 5 novembre 2013 ha scritto:

Grazie a te delle osservazioni a margine. Sì, io personalmente sapevo che il disco è una prima take, a tratti si sente palesemente. Quello che volevo (e che penso anche Francesco volesse) dire è che la libertà contenutistica di questo incontro a tratti suona come stereotipo. Non a caso scrivo che quando Perelman non interviene nelle trame e rimangono i soli Morris e Pandi a duettare, lì il disco mi piace decisamente di più.

FrancescoB, autore, alle 9:30 del 6 novembre 2013 ha scritto:

Condivido il discorso di Marco. Il disco è valido, e il voto lo conferma, però manca di quella scintilla che aggiunge potenza comunicativa e tenacia alla competenza tecnica: nessuno discute che i musicisti sappiano fare il loro lavoro, anzi forse lo sanno fare anche troppo bene, però raramente sono entrato in simbiosi con l'opera. Che pertanto ho definito "scolastica" in questi termini.

gbruzzo (ha votato 8 questo disco) alle 12:12 del 7 novembre 2013 ha scritto:

Grazie infinite ad entrambi gli autori per le controrisposte - che solo in parte condivido, ma che certamente rispetto.

Vi ringrazio inoltre per l'attenzione e lo spazio che regolarmente offrite alle uscite della nostra etichetta.

Cordiali Saluti

Giacomo Bruzzo

Utente non più registrato alle 15:33 del 5 febbraio 2017 ha scritto:

Complimenti al Sig. Bruzzo per la RNR e per la sua "mission"