Rhye
Woman
Tra gli esordi più attesi dell'anno, Woman conferma le già notevoli impressioni che i Rhye, con i singoli Open e The Fall, avevano destato in buona parte della critica internazionale (lattenzione riservata loro, su tutti, da Pitchfork) l'anno passato.
Sostanziale, pienamente estetica la scrittura di Mike Milosh e Robin Braun (aka Robin Hannibal), a farsi intima anche nei momenti di maggior pienezza: ecco melodie passionali, soavi in slanci sexy, composizioni di puro, raffinato easy listening soul (Sade); tra sophisti pop (Blue Nile) 10s, beats scarni (the xx), movenze r'n'b/funky, garbate tastiere. Archi elettivi, emotivi.
Dal tratto sensuale, eccitante, la voce di Mike Milosh (già Milosh, nel suo progetto solista) è timbro divino e fortemente femminile (lo si è già detto, qui come altrove mesi fa, Helen Sade Adu): di certo, (non solo) per chi scrive, tra le voci maschili più sorprendenti del pop di oggi.
Scoperte, nude le liriche: fil rouge lattaccamento invischiante, il rapporto a due idealizzato (I wanna be your choice/ not just a moan) romanticismo bisognoso di continui atti, conferme (Dont call me love unless you mean it Shed Some Blood); lestasi sensoria (My song says it all to you hear all over in Verse; Hungry in the south/ made for all sense/ Can you hear the sound/ Its calling through the ground da Hunger), il corpo come materia amabile/violabile (Im fool/ for that shake of your thighs; I wanna make this play/ oh I know youre faded/ but stay/ dont close your hands Open)
Sono tanti, e sono intensi gli odori carnali, i momenti come istantanee da imprimere e conservare, di questo Woman: viola e violini flessuosi, a gonfiare di erotismo una celestiale linea melodica il finale di Open; luniversale comunicatività di un instant classic come The Fall (Make love to me/ One more time/ Before you go away/ Why can't you stay?); l'intreccio, tra apertura d'archi e loop ritmico, in Shed Some Blood. E poi la linea di chamber pop, tiepido soul, e le tastiere minime (dalla 'misura' anche orientale) di Verse; la ricorsività seducente, dancy e glamour, di 3 Days; Il raccoglimento (un sax triste) senza luce, e gli archi introiettivi, vibranti, nella posa jazz pop di One of Those Summer Days. Hunger è momento sfumato in senso disco-pop e funky, episodio più a contrasto, dinamico (Blondie) del disco.
Non cè oscenità così esposta in questo Woman (video permettendo); più spesso calore, sì soave, come corpo di donna (la copertina) che, inondato in chiaroscuro di grazia, attende e freme. Poco altro, davvero, da aggiungere: un disco da amare incondizionatamente.
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