A North Atlantic Oscillation + Blackfield live @ Alpheus, Roma - 20/04/2011

North Atlantic Oscillation + Blackfield live @ Alpheus, Roma - 20/04/2011

I North Atlantic Oscillation anche su un palco riconfermano le eccellenti impressioni che il loro debutto "Grappling Hooks", qualche mese fa, aveva evocato: la poderosa miscela a base di propulsiva elettronica e sghembo alt-rock fortemente innamorata della forma-canzone si ripropone credibile anche in contesto live. Grande professionalità per questo giovane combo che innesta elementi riconducibili a Notwist, Air, dEUS e 65daysofstatic, ricucendogli addosso qualche filo appartenente al retaggio dei Radiohead più elettronici, ed infarcendoli di brevi ma significative incursioni psichedeliche, con echi di “pet-sound”. Il quadro d'insieme è cristallino e svagatamente moderno: insieme agli Engineers, i NAO rappresentano gli avamposti della filosofia musicale della Kscope. Una delle caratteristiche che contraddistingue la loro proposta è la sapiente combinazione delle voci, gli ondivaghi sintetizzatori e il drumming compatto e fantasioso, risultato del merge di programmazioni elettroniche e di vera batteria. Tra i brani che hanno particolarmente giovato e brillato nella riconversione live segnalerei  Cell Count, Holliwood Has Ended e Drawing Maps From Memory. Le atmosfere sono dense e avvolgenti: di certo meriterebbero ben più attenzioni di quante ne abbiano catalizzate finora. E pensare quante sperticate lodi racimolano gruppetti davvero di scarsa originalità ma baciati sulla fronte (o sul culo, fate voi) dai siti e dalle riviste che contano e che dettano le direttive e i dictat di ciò che è cool e stylish. Che i NAO vadano per la loro via, che la padronanza della strada ce l'hanno nel sangue, nelle dita e nel cervello.

Ma è tempo per la band del dinamico duo Blackfield di reclamare la scena: Aviv Geffen con giacca illuminata da led rossi, Steve Wilson a piedi nudi (as usual), perfettamente a suo agio con il repertorio e con questo pop-rock-pop malinconico e senza grande pretese strumentali. Chissà se in cuor suo sogna uno snellimento del sound dei Porcupine Tree (operazione più volte compiuta) o se magari coltiva il piano che permetterebbe  ai  Blackfield di occupare maggior posto nella propria vita: per il momento è ancora tempo per tenersi attivo sui molteplici fronti costruiti. Il concerto scorre con la faccia più dura rispetto a quanto sentito in studio, ma senza regalare sincere emozioni e la voce di Geffen non si rivela così prestante e magnetica come talune fonti riportavano, anzi tutt'altro: la cosa davvero positiva è che sotto l'effetto energizzante e “indurente” del contesto live, le orchestrazioni che in studio rendono eccessivamente dolciastri i pezzi passano ora sottostraccia, per buona salute di chi soffre di diabete. I BF si muovono senza soluzioni continuità tra brani degni dei Cranberries (con tutto il rispetto per i Cranberries), degli spocchiosi HIM, dei Green Day e dei Porcupine Tree più straightfoward, con spruzzate alla Prefab Sprout (con massimo rispetto per i Prefab Sprout) e semplificazioni, o meglio banalizzazioni, del concetto pop inventato da Beatles, Beach Boys, XTC, specialmente quando le tonalità virano verso il più scontato dell'FM Rock americano. Steven Wilson comunque non ce la da a bere: si vede benissimo che pur mostrando compiacimento e coinvolgimento, in realtà il suono della sua chitarra è svogliato, sporco ma anche senza graffi, senza estro. Roba da far rimpiangere una Trains (con tanto di battito di mani) o una Lazarus dei PT, per non dire di una Piano Lessons che qui parrebbe un capolavoro assoluto. Mi sembra opportuno ricordare quanto nella gemma firmata a suo nome (mi riferisco al suo debutto solista “Insurgentes”), Steven Wilson abbia adottato strutture sonore quanto di più lontane dall'esperienza Blackfield: si vede che quando bisognava metterci il nome sopra, ben altre erano le musiche nelle quali ha scelto di identificarsi. Volano i pezzi (estratti i modo equo dai primi due lavori e con ampio spazio all'ultimo "Welcome To My DNA" eseguito quasi nella sua interezza), ma gli accordi sono sempre gli stessi, e neppure quando provano ad andarci giù pesante con i riffoni riescono a dare “grinta” alla loro esistenza come band.  Molti diciottenni hanno dimostrato di apprezzare:  forse perché per la prima volta le loro "pischelle" conoscevano a memoria i testi, recitandole a squarciagola. Qui non si tratta di disprezzare il pop. Si tratta di disprezzare questo pop, il pop elaborato dai Blackfield, con un occhio (anzi due) al facile raggiungimento degli intenti, fra coretti la-la-la o uh-uh-uh e ballad che sarebbero state  buone per qualche lento da pomicio (o da limonate che dir si voglia) in una festa a casa negli Anni '80. Mancava la coreografia degli accendini accesi ondeggianti.... Oh ma come sono desueto a non accontentarmi della pletora di cellulari illuminati! Alcuni brani avrebbero fatto la loro porca figura nella colonna sonora di qualche serial televisivo americano con protagonisti che non superano la maggiore età (ricordate quei "bei" telefilm patinati nei Nineties, tipo Beverly Hills 90210 o Melrose Place?). Il momento clou lo si raggiunge quando Aviv Geffen si mette a petto nudo in belle pose da piacione: e la situazione diventa non poco simbolica e sintomatica. Una unica nota di merito l'assegnerei al brano come Zigota e all’incipit della performance con Blood. Impossibile avere anche un impeto nostalgico del primo, a tratti apprezzabile, album risalendo questo appena al 2004. Il resto della band è costituito da sodali e connazionali dell’Israeliano Aviv Geffen, di cui mi sentirei di indicare il tastierista  Eran Mitelman come il musicista più convincente. Ma davvero gli obiettivi di questa  amalgama sonora orecchiabile (basta abusare del nobile termine pop), restano lontani mille miglia dal ciò che personalmente identifico con  la vera, profonda, significativa essenza della musica, fatta di sottigliezze, di spigolature, di cose urlate e cose non dette, di rumore e di silenzi, fatta di stupore e non di effetti speciali, e principalmente fatta di emozioni non prese in prestito da una  fiction di prima serata.

Steven Wilson si decida una buona volta da quale parte stare: senza fare ipocrite guerre “fuoco e fiamme” all’iPod…

Per approfondire: http://www.kscopemusic.com/

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moonwave99 alle 20:58 del 21 aprile 2011 ha scritto:

Bravo Stefano

Pop-rock-pop, esatto.

Sono legatissimo ai primi 2 dischi dei BF, ce li ho nel cuore e mai lo abbandoneranno. Il terzo disco è banalotto, per fortuna ce lo hanno proposto diluito e non tutto d'un fiato. Per il resto scrivo col cuore, e non posso non ritenermi soddisfatto di aver ascoltato e visto all'opera un duo che è sempre stato capace di emozionarmi tantissimo, però di certo non mi prostituirò per esaltarne l'intrinseca valenza musicale, oggettivamente non elevata se vista da fuori.

In soldoni: i Blackfield m'hanno fatto piagne pe qualche ragazzetta, e per questo non riuscirò mai a valutarli senza distacco. E cmq un sacco di [vecchi] brani sono gran belli.

Mopy alle 11:33 del 23 aprile 2011 ha scritto:

Perchè tanto accanimento?

Francamente non capisco cosa non vada nella musica dei Blackfield, nel loro modo di fare pop. Tuttavia, fai bene a specificare che è una tua personalissima opinione quando dici che la vera, essenza della musica è fatta di sottigliezze, di spigolature, ecc. L'essenza della musica può essere questa così come può esserlo anche la capacità di scrivere canzoni, magari della durata di 3 minuti, capaci di arrivare dritte al cuore (stiamo parlando pur sempre di pop, e di un pop di un certo livello, mica Britney?!), senza dover per forza puntare su una rincorsa ostinata all'innovazione. Credo che ogni artista cerchi di dare il meglio di sè facendo ciò che è più "nelle sue corde" diciamo così, e in questo credo che i Blackfield raggiungano lo scopo. Che poi possano non piacere perchè troppo malinconici o perchè non aggiungono nulla alla storia della musica nè prendono parte a quel processo di continua ricerca musicale e stilistica che dà di che parlare a molti critici ci sta, ma è un discorso nel quale mi ci addentro fino a un certo punto. Penso sia innegabile, per chi mastica un po' di musica a livello compositivo ed esecutivo (per chi suona praticamente), che Wilson e Geffen hanno un talento melodico che io stesso, da musicista, invidio. Mi è sembrato di capire che tu stesso ti sia dovuto "fermare" di fronte a una perla come Zigota.

Per quanto riguarda invece l'aspetto legato al pubblico, ma davvero a Roma c'erano solo pischelletti, per giunta pseudo-emo? Spero di aver capito io male perchè a Milano eravamo decisamente più assortiti. C'erano i ragazzini, ma c'ero anche io che ho 27 anni, padri quarantenni con figli al seguito, e persone di entrambi i sessi che avevano superato i 50. E pur non essendo uno di quei concerti ai quali vai per pogare, eravamo tutti gasatissimi e visibilmente soddisfatti. Merito anche della capacità della band di coinvolgere il pubblico. Aviv Geffen, per quanto conosciuto da noi solo grazie ai Blackfield, in Israele è una rockstar consumata, ed è l'istrione della situazione. Un performer molto teatrale. E anche Steven Wilson da qualche tempo ha imparato a stare sul palco e a giocare con gli sguardi del pubblico, piuttosto che fissare la pedaliera per tutto lo show.

Insomma io non avrei saputo proprio più cosa chiedere...

swansong alle 11:45 del 6 maggio 2011 ha scritto:

Vabbè Stefano, dai, ormai sappiamo che c'hai il dente avvelenato Il fatto è che per molte considerazioni che fai ti darei pure ragione. Il livello di saccarosio dell'ultimo album - praticamente opera del solo Geffen - è, in effetti, irritante. Tuttavia, come sottolinei, i brani, in sede live, acquistano maggior spessore. Ma nel complesso sei un pò troppo severo! Insomma, io me la sono goduta eccome la serata (ho assistito al concerto di Treviso), li ho visti in grande spolvero (confermo l'impressione di una partecipazione più superficialotta di SW. Mi è semprato come se avesse più la testa sulle registrazion i del nuovo lavoro PT) e spenderei un elogio per la prova muscolare del batterista. Avercene di band così. A me piacciono assai.