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R Recensione

7/10

Zeus!

Motomonotono

È l’anno della capra, una risata ci seppellirà: bando alle ciance e squillino le trombe, allora!, riversiamoci in massa a ballare la tanz debil trogloditica di fine Impero. Allucinazioni o meno, Luca Cavina e Paolo Mongardi a Copacabana se la spasserebbero, altroché. Immaginateli, allora, i carrozzoni di caricature e smutandate, di brasileiri in preda a furore bacchico che si gettano in strada, credendo forse di udire la carica del funk, il calore della musica popolare. Ma no hay banda, no hay orchestra, la cattiveria è un mero facepaint e l’immagine che si fissa è, piuttosto, quella di due individui barbuti, sunglasses inforcati a mo’ di rockstar d’altri tempi, a sudare e sobillare anime. “Phase Terminale” (l’ultimo di una sfilza di titoli geniali) è stolida e inappuntabile: il basso di Cavina è ispessito a tal punto da sembrare una maligna chitarra fuzz, un residuo antebellico sabbathiano, laddove invece Mongardi rinfocola gli irregolari incastri del collega (un perfetto 5/4: ci avevate fatto caso?) con una ritmica balzellante interamente imperniata sul botta e risposta tra rullante e cowbell. Niente meno che una samba riedita e ricucita in salsa math-core (!), una “Turbo Pascal” al massimo grado. E il phaser? Quello arriva nella seconda parte, contaminando l’orgiastica ripresa del tema principale, un martello kraut-noise scagliato nello spazio (i Battles sotto benzedrina?) dall’impeto crescente.

Se anche non vi ritenete critici provetti, qualsiasi prefisso premettiate a –core va bene: è il nocciolo che ci interessa, per l’appunto. La sostanza. L’hardware. “Motomonotono” (l’accento cade sul primo “no”) è, in verità, un monumentomonotono: al pragmatismo e all’esuberanza. Si riveda il giudizio, specialmente su quel “monotono” che, ad una prima lettura, si carica quasi esclusivamente di accezioni negative (giacché il mondo non conosce lingue neutre e l’italiano, di per sé, è ben polarizzato). Il senso intimo del disco è la ripetizione, la reiterazione, l’affondo in più riprese, il perfezionamento progressivo del primo colpo. È cosa assai diversa, quand’anche non antitetica, dalle barocche fasi di accumulo e spiazzamento di “Opera” e dalla ruvidezza intrinseca del primo “Zeus!” (sono già passati cinque anni: incredibile). Gli Zeus! di “Motomonotono” giocano da subito a carte scoperte: non vi sono segreti da celare. Se è vero che al mondo vi sono poche certezze, tra queste v’è sicuramente il fatto che la “Rota” contenuta nel “Metamorphosplit” con gli Ornaments non è stata una sperimentazione isolata: si lavora alacremente di aggiunta e sottrazione su un corpo principale che non subisce variazioni di rilievo. Tant’è che il meltdown che fa collassare in un colpo “Forza Bruta Ram Attack” è annichilente perché in nessun modo preconizzato dal nervoso pesticciare di basso e batteria, la violenza cartoonistica di “All You Grind Is Love” (un bloodbath grind dal tiro terrificante) quasi ritagliata di prepotenza in mezzo agli scampoli di un discorso altro, devoluto ad altro.

A gioco e sollazzo, dispendiosi sotto il profilo fisico (basti per tutti il metal matematico dell’iniziale “Enemy E Core”, la più vicina all’ugola arrossata del s/t), viene garantita continuità e (apparente) semplicità d’esecuzione, grazie allo straordinario interplay tra i musicisti all’opera (uno dei migliori duo che l’Italia abbia mai sentito in vent’anni) e alla loro intelligenza nella scrittura. Quando viene seppellita l’ascia di guerra – sfoderata con fierezza, al contrario, sul complicato tip-tap à la Lightning Bolt di “Colon Hell” – nascono episodi come la lunga “Panta Reich” (applausi a scena aperta), landscape ambient deformato da interferenze industrial, il linciaggio hardcore di “Rococock Fight” (con una seconda metà tutta tribalismi e suggestioni orrorifiche), e l’ibrida “Shitfing”, Moonchild zorniani versione panzer prog-core dove i riff di Cavina sono lame che squarciano i compatti tam tam di Mongardi (brano strepitoso). Sono ulteriori ampliamenti di uno spettro sonoro fattosi già ricco coll’accumularsi degli anni, dei concerti e delle prove studio, necessari a controbilanciare certe fragilità di metà scaletta (la pestona “Krakatoa”).

Ci si rende conto, dopo numerosi ascolti, che ogni disco degli Zeus!, volutamente e a suo modo imperfetto, completa armoniosamente il precedente. Va così a formarsi una catena di fuoco che brucia e purifica, meraviglia e intrattiene. È assodato: non c’è più alcun ostacolo sulla strada dei nostri eroi.

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