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R Recensione

6/10

秘部痺れ (Hibushibire)

Turn On, Tune In, Freak Out!

Nella musica, come nella vita, ci vuole coraggio a dire basta, a saper lasciare tempo al tempo e indovinare l’esatto momento per defilarsi in un rispettoso silenzio. Nella musica, come nella vita, sono infatti ben più numerosi i ritratti di chi prolunga oltre ogni limite tollerabile un attimo perso per sempre. Nel loro piccolo gli Hibushibire (秘部痺れ), terzetto terroristico di Ōsaka capitanato dallo spiritato chitarrista Chang Chang, lo raggiungono intorno al settimo minuto e mezzo di “Rollercoaster Of The Universe”, la mega suite heavydelica che chiude coi fuochi d’artificio il secondo full lengthTurn On, Tune In, Freak Out!”: in un riff tutto sommato elementare, ma di potenza centripeta devastante, si concentra il senso della torrenziale ed incandescente esplorazione hard rock che precede, un tunnel allucinatorio di virtuosismi da dare il capogiro. Sarebbe gloria assoluta, se non fosse che il cronometro si fermerà definitivamente solo molto più avanti, a 17:11, in una singolar tenzone all’accumulo progressivo (e compulsivo) che, invece di accrescere l’ammirazione, genera solo stasi ed impaccio.

Il rammarico è grande, perché gli Hibushibire, oltre ad avere compiuto degli evidenti passi in avanti rispetto al tellurico esordio “Freak Out Orgasm!” di due anni fa, rispetto alla media delle band di genere hanno diversi assi nella manica da sfoderare. Piuttosto interessanti sono, ad esempio, i due brani più brevi della scaletta: “Overdose, Pussycat! More! More!” (ma chi glieli scrive i titoli…?) è una bolgia boogie che ridicolizza Hendrix in una cornucopia di weirdismi spinti (la coda, tra xilofono, bonghi e scacciapensieri, è un cut’n’past di ghigni e mugugni da hentai). Pervasa da una distinta possessione fuzz-blues è invece la frase portante dell’iniziale “Ecstasy Highwaystar”, le cui distorsioni fanno intravedere un qualche tipo di proiezione cosmica: e, volendo, anche il furore jazzistico di cui cadono preda le sezioni centrali di “Blow! Blow! Blow!”, seppur non nuovo agli appassionati del genere (le Acid Mothers Temple del loro produttore e padrino Kawabata Makoto rimangono un riferimento importante), conferma la bontà delle intuizioni dei tre giapponesi.

Ma c’è un momento per ogni cosa: anche quello per dire basta. Innalzata l’esagerazione a credo personale, gli Hibushibire non sembrano ancora pronti a venire a patti con le mezze misure. A seconda delle prospettive, questa può essere una benedizione o una maledizione.

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