R Recensione

7/10

Noise under dreaming

In mine

In Mine si apre subito come si aprirebbe un sogno se avesse una colonna sonora: un pianoforte che lentamente aumenta la sua intensità per farsi largo nel silenzio della notte e superare lo spazio dell’oblio raggiungendo il palcoscenico dell’inconscio. I Noise Under Dreaming (gruppo milanese composto dal duo Michele Ricciardi – Matteo Chimenti) hanno un carattere post-rock che sembra manifestarsi perfettamente nella costruzione di “Noise under my wish” dove l’altalena di una chitarra onirica trova interferenze sonore sempre più gravi fino a lasciarsi travolgere da una deflagrazione di distorsioni noise e di percussioni violentemente insistenti. Ma il loro nome parla di un “rumore al di sotto del sogno” e In Mine non lo smentisce: da “For nothing” in avanti infatti la deflagrazione post-rock si rivelano un episodio isolato. Eppure, lentamente di brano in brano, ci si accorge come quell’esplosione sia stato un gesto necessario, perché al disotto del sogno, come in qualsiasi altro luogo, il rumore deve conquistarsi una propria identità per diventare armonia e scoprirsi musica. È esattamente in questo modo che la voce trasognata di “For nothing” si articola subito dopo in una costruzione sonora meravigliosamente onirica: “Lullaby for lovers” è un insieme di gorgheggi che s’intrecciano, si sovrappongono come nelle migliori letture freudiane dei sogni e non c’è musica, ma soltanto suono, qualcosa che isolato da questo contesto sarebbe un semplice rumore e che qui, al disotto del sogno, diventa armonia. La voce trema e sospira come quella di Jonathan Donahue e forse sono proprio i suoi Mercury Rev la fonte primaria d’ispirazione dei Noise Under Dreaming, anche se qui c’è una differenza non del tutto impercettibile che li distingue: In Mine riesce sempre costantemente ad evitare quell’artificialità sonora che i Mercury Rev imprimono alla loro musica. Il suono prodotto dal duo milanese è pulito e gli effetti sono trasposizioni elettroniche di una natura che s’affaccia sullo sfondo, come a mantenere il contatto impercettibile con un universo sonoro reale fuori dal sogno. A volte il rumore degli uccelli, le foglie degli alberi scosse dal vento, un tuono, o semplicemente il battito del proprio stesso cuore sono l’essenziale presenza che permette il sopravvivere di una coscienza, addormentata ma sempre viva.

La suite classica di “Sinfonia Per Menti Distratte” è il massimo della razionalità che un sogno possa mai produrre: come l’avvertimento che l’immaginazione muove alla coscienza per destarla dal torpore, un grido senza voce che annuncia placidamente il lento inizio del risveglio, un battito incondizionato della palpebra, uno sbadiglio, il movimento involontario di un muscolo e la fase rem che s’allontana, lasciando trapelare sempre più nitido il suono della realtà. Ma il risveglio è quieto, “Rikke”, è mosso da un pianoforte che suona note calme e acute, da una base ritmica lieve che nella sua mancanza d’intensità riesce perfettamente a riportare l’impressione dell’inizio di qualcosa di nuovo, soprattutto nel momento in cui delle voci cantano frasi sconosciute, sovrapponendosi l’un l’altra sopra l’arpeggio di una chitarra per comporre qualcosa che sembra essere il saluto al mattino di un’antica tribù africana. “In deep” è una preghiera alla realtà, una preghiera alla fine del sogno che porta la maschera di un romantico brano d’amore. Ma, come nella seguente “Better Story“, sono gli accordi del pianoforte a riempire il sogno che si sta sfaldando nella realtà con una delicatezza splendida nella quale un violino geme duettando con la voce, ancora tremante eppure sempre meno onirica. Il finale è un rumore, un frastuono confuso come quello di una fabbrica, un chiasso informe e costante (“Monochrome”) dal quale a fatica riesce ad emergere un’armonia. La voce sospira, si sforza in acuti, ma soltanto una chitarra cerca di inseguirla, impotente e senza accordi, con effetti scarni e secchi che la lasciano senza fiato sotto il rumore della realtà che sembra essere destinato a non trasformarsi mai in musica. Neppure quando cessa e resta il solito, incessante battito del cuore a dare ritmo al silenzio, definitivamente fuori dal sogno.

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