R Recensione

7/10

Trans Am

Sex Change

Coi tre tamarri di Washington Dc ci eravamo lasciati tre anni fa, con ‘Liberation’, l’uscita più apertamente politicizzata e cupa della loro carriera, e ci ritroviamo oggi, con alle spalle oltre dieci anni di lunghissimi tour in giro per il mondo e otto album dall’esito altalenante, ma sempre fortunati per quel che riguarda l’apprezzamento di critica e pubblico (parliamo di una media di 40000 copie) , con questo ‘Sex Change’ ancora fedeli alla storica Thrill Jockey di Chicago.

Dopo il tour di ‘Liberation’, il trio lascia la capitale dell’impero e si sparge per il mondo: Nathan Means ad Auckland, Phil Manley a San Francisco e Sebastian Thomson tra Londra e New York; tra programmi di cucina vegan e progetti filmici da proiettare nei concerti; il trio continua anche separatemente a portare avanti, ognuno secondo le proprie modalità, quella visione del ‘fare musica’ che non coincide con l’imitazione di suoni e stili già codificati e di successo così diffuso nel mondo cosiddetto indipendente (vedi alla voce perfida Albione), bensì di cercare un continuo incontro con altri linguaggi e media e di scompigliare in questo modo il proprio dna, rinnovandolo.

D’altronde le radici nella cultura vecchio stampo del d.i.y. e l’indole intellettuale della band (sempre parata dietro le pose da cafoni che i tre amano sostenere, ma proprio per questo ancora più accentuata) sono una promessa di onestà e di non disponibilità a scendere a compromessi ambigui in odor di libero mercato; in poche parole il nostro rispetto se lo sono meritati per aver sempre detto e soprattutto fatto quel cazzo che gli pareva, sono stati e sono una band che non ha paura di deludere le aspettative dei propri fans e dell’etichetta, se questo può limitare le proprie libertà creative.

Il risultato è notevole, dalle diverse sessioni di registrazione e dalle collaborazioni perlopiù maturate a distanza dai tre, è scaturito un album complessivamente coeso ma ricco di suoni, dettagli e approcci alquanto differenziati: ‘Sex Change’ è il loro album più giocoso e organico.

C’è un alone di trasporto galattico a legare tutte le tracce dell’album, sia che si tratti di hard rock che di funk vocoderizzato (come in‘Climbing Up Thr Ladder’) e già nell’ opener ‘First Words’ si denota quello che sarà la faccia del disco: synth pop epico dalle ritmiche pulite e decise(‘4,738 Regrets’), sintetizzatori vintage alla Kraftwerk a inventare melodie calde e dirette capaci di elevarsi sospese in aria (‘Exit Management Solutions’), ad aleggiare una patina analogica per accompagnare la magniloquenza del synth-prog-rock che ben conosciamo, si sentano ad esempio ‘North East Rising Sun’ e ‘Reprieve’.

Le buzzurrate metal hard rock timbrano il cartellino anche stavolta in ‘Conspiracy Of The Gods’ e nelle conclusive ‘Shining Path’ e ‘Triangular Pyramid’.

Ci sono gli anni ‘80 della trascinante ‘Obscene Strategies’, e qui provate a non muovere gambe e testa se ce la fate…la band ha dichiarato di aver riciclato vecchie tecniche di registrazione chiamate ‘Obscene Strategies’ appunto, ispirati dalle ‘Oblique Strategies’ di Brian Eno.

Si tratta di una tecnica che serve a sbloccare la creatività: nel momento in cui la band si prende troppo sul serio e si trova davanti il fatidico foglio bianco che sembra sempre più vuoto, pesca dalla lista di strategie, tra le quali possiamo trovare: fare un pisolino, suonare come Jackson Browne, rapinare i musicisti neri, invitare tutti gli amici, controllare la posta, non chiudere a chiave lo studio la notte, guerra coi cuscini!…..e via delirando.

Non siamo all’altezza di ‘Red Line’ e forse nemmeno di ‘Futureworld’, ma ‘Sex Change’ si fa apprezzare dall’inizio alla fine, e anche se non è sicuramente una svolta epocale nella storia dei Trans Am, scorre felicemente, senza acuti ma nemmeno passi falsi.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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motek 7/10

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