R Recensione

7/10

Jakobinarina

The First Crusade

Come i surfisti mascherati da presidenti d’America di ‘Point Break’ prima di saltare giù dal furgoncino per rapinare la banca: ‘rock’n’roll ragazzi’!

Se c’è qualcuno tra voi che sta chiedendosi dove scovare una valida alternativa a quella cosa ‘eccitantissima’ chiamata ‘nu-rave’ e rappresentata da ‘vere e proprie schegge in fuxia-hoodies’ come Klaxons e Shit Disco; e se gli album di Franz Ferdinand Maximo Park Kaiser Chiefs Art Brut e compagnia bella li avete imparati a menadito e siete ormai a rota peggio di Christiane F. a zonzo per Charlottenburg; ebbene la soluzione alle vostre ricerche potrebbe trovarsi dove meno ve lo sareste aspettato: nell’estremo nord del nostro continente.

Proprio in quell’Islanda che è sì la terra di Bjork, dei Sigur Ros e dei Mùm, ma che da oggi annovera anche un sestetto di diciassettenni dal nome improbabile che con ‘The First Crusade’, il disco d’esordio, sembrano volersi impossessare dei piani alti delle nostre playlist.

E se è vero che le fotografie che li ritraggono sul loro sito fanno venire voglia di prenderli a scapaccioni, così, solo per le facce che hanno, è altresì vero che è sempre più raro trovare gruppi in grado di incanalare il digrignare dei denti e il fuoco ai piedi adolescenziale in telai così perfettamente pop; sparando proiettili da due minuti e mezzo incentrati sulla strettezza di un recinto chiamato provincia (sul serio: Hafnarfjörður è il loro paese), la scrivania di un ufficio, su amarezze sentimentali e routine quotidiana che non si riesce a spezzare se non nell’illusione dell’ennesimo weekend.

Ecco, come levrieri legati alla corda suonano questi Jakobinarina.

Come degli Art Brut (in particolare nell’uso dei toni vocali, paragonabili a quelli di Eddie Argos) presi per le orecchie dai Coachwips nell’anagrafica ‘17’ così come nel feroce nichilismo (‘I’ve nothing to live for, except next weekend’) di ‘Monday I’m In Vain’.

Come dei Libertines insanguinati sotto i ferri impazienti di certo hardcore di ‘Call For Advice’ e ‘His Lyrics Are Disastrous’, dove sembra di vedere le particelle di saliva sputacchiate dal rabbioso accento cockney del giovane Gunnar Bergmann rimbalzare sul microfono.

Come degli Hives in versione Oi! dell’anthem da urlare con l’indice alzato verso il soffitto ‘This Is An Advertisement’, o come gli Ordinary Boys in crisi di nervi nell’esistenzialista ‘I’ve Got A Date With My Television’.

Come degli Angelic Upstars catapultati nel 2007 di ‘Sleeping in Seattle’, o come la musica che potrebbe produrre una copia della C86 mandata ad un grado di velocità in piu di ‘I’m a Villain’.

Tanti nomi e citazioni per rendere l’idea di una musica che non reca in sè niente di innovativo, di un album che non è per niente imperdibile nè scevro da occasionali ingenuità, e di un gruppo che probabilmente si fermerà qui, o al massimo al prossimo album.

Ma che lascia sulla strada un disco solido e divertentissimo.

‘Rock’n’roll, ragazzi’.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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