R Recensione

8/10

People

Misbegotten Man

Kevin Shea è realmente un misbegotten man. Chi è Kevin Shea? Uno dei musicisti più attivi e brillanti della scena avant-rock/impro-free-jazz attivi in questo inizio di secolo. Fu batterista degli ormai scomparsi Storm&Stress, ed oggi alcuni progetti lo legano a bands della scena alternative-underground di New York. Qualche esempio? Talibam! con Matt Motel (synth, tastiere) ed Ed Bear (sax) che da qualche mese hanno pubblicato il loro vero primo CD ufficiale “Ordination of the globetrotting conscripts” (Azul Record), improvvisazione allo stato puro, free-jazz/art-rock della migliore qualità. Un altro progetto a cui Kevin è particolarmente legato è il cantautorato free che propone con questi People, assieme a Mary Halvorson (già chitarrista con Trevor Dunn’s Trio Convulsant ed Anthony Braxton).

Il loro primo lavoro, People, uscito nel 2005 per la I & Ear Records, conteneva tracce piuttosto brevi e scarne, istantanee non completamente messe a fuoco e ancora alla ricerca di un proprio sound. Ed è solo con questo secondo album che tutto inizia ad assumere una struttura più chiara ed esplicita, le canzoni si allungano acquistando maturità esecutiva, e quello che prima era solo una serie di brevi esperimenti in questo disco acquista forma e armonia generando, attraverso una sezione ritmica più compatta, vere e proprie canzoni che non rinunciano mai al gusto per l’improvvisazione.

Un songwriting a-melodico con chitarre che pur mantenendo una struttura-canzone non rinnegano il loro passato, percussioni che si dividono tra libere improvvisazioni, scrosci vari, frenetiche e nevrotiche rullate e squilibrati tambureggiamenti a rotta di collo. Il drumming di Shea si può definire come un’improvvisazione all’interno di un formato canzone, quasi a ricordare, seppur alla lontana,  quello che faceva negli Storm&Stress: una percussività nervosa, quasi sfociante nella follia, ricca di taglienti dinamiche tra rumorosi frastagliamenti ritmici di libere e caotiche improvvisazioni , coeso però da un suo sorprendente senso logico: una valanga che si trascina dietro quel po’ di armonia che affiora da una chitarra che ricama un suono relativamente orecchiabile e semplice nei suoi fraseggi art-rock, giocando con spinose improvvisazioni e strane sincronizzazioni di linee vocali dalle melodie deformate e sbilenche .

I titoli delle tracce sono lunghissimi, quasi a marcare una volontà di Mary di dare nei testi un giusto peso alle parole, un linguaggio non tanto usuale, con idee al quanto fuori dai luoghi comuni, “…and genetic cues rebut proximal answers/ Despite the partisan dialects imparted in our DNA”, canta Halverson in Eyeball Balls Reporting Faster than the Speed of Sounds . L’iniziale Urban Fable # 1: The accidental ruin of a romantic populist da subito l’idea di quali siano le intenzioni del duo, chitarre atonali con cantato in tono sommesso, vibrazioni di melodie che espertamente oscillano tra dentro e fuori la tonalità, mentre il drumming tecnico e schizofrenico di Shea si rovescia nella canzone come pennellate stravaganti di un pittore nella sua massima creatività. Il resto delle canzoni trova il duo sprintare tra una serie di spastici incespicamenti , zoppicanti e vacillanti composizioni (Eyeball balls Reporting fasten than the speed of sound ) da provocare un breakdown ogni 30 secondi di ascolto.

Armonie a due voci tra flussi folk-hard-rock (Biomimicry of the Social Body) con chitarre dal suono più marcato e graffiante (The phantasmagoric energetics of our 4-legged forbears, Myspace o Myspace). Puro art-rock si sbriciola in brani come But I Like my Rotten Hat e The Evergreens cover a beautiful day lost to reflect con assoluta voglia e coscienza di strafare e colpire in pieno con originalità come mostra anche la lunghissima e bellissima Misbegotten Man in Perpetuit.

Con i People  Shea pare trovare il perfetto equilibrio tra forma-canzone e chaos. Direte: pretenziosi questi People? Forse, ma state certi che in tutto ciò un senso si può trovare: potrebbe apparire come un capriccio di stile privo di significato, con la sua reiterata velleità di improvvisare all’interno della forma canzone, potrebbe risultare perfino irritante, ma sicuramente finisce con l'assumere un'identità unica e vivace, una voce brillante, rinfrescante e piacevole destinata a rimanere impressa.

Un disco sorprendente: al punto che non sai se amarlo alla follia o odiarlo per la sua imprevedibilità tipicamente avant. Inutile sottolineare che chi vi scrive, ha finito con l'optare per la prima, rimanendone letterlamente folgorato.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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REBBY 6/10

C Commenti

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gerogerigegege (ha votato 7 questo disco) alle 19:01 del 15 novembre 2007 ha scritto:

live

ho visto i Talibam! dal vivo un lunedì sera di due settimane fà...a parte il fatto che si ostinavano a volerci offrire delle prugne 'inscatolate' in improbabili bicchieri di plastica(nessuno però è stato così coraggioso), a vederlo stuprare la sua batteria Shea sembra un indemoniato..gli si trasfigura proprio il volto...ero in compagnia di una ex-collega amante di sonorità sixties-mod e ti lascio immaginare gli improperi che mi sono beccato!