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R Recensione

7,5/10

Mark Kozelek & Jimmy Lavalle

Perils from the Sea

Non sono in grado di sostenere con sicurezza che Mark Kozelek abbia imparato a tradurre il giapponese nella sua lingua natìa, ma so per certo ha imparato a tradurre il suo linguaggio (ultraterreno, libero come un falco che solca le nuvoli della conoscenza, meravigliosamente capace di farsi largo fra le immagini più spaventose partorite dalle nostre anime in pena) in qualcosa che assomiglia vagamente al nostro.

Kozelek non ambisce a essere proclamato il Poeta Laureato della Calofornia, e non è più l'anima tossica che consuma avidamente medicine in bottiglia.

Forse è semplicemente il massimo cantautore della nostra Era, e accetta il ruolo con serenità. Non ci sono saghe spaziali né visioni di un futuro meccanizzato nella sua Poesia: Mark parla sempre di persone, di individui imprigionati dentro qualcosa più grande di ciò che i loro occhi possono comprendere (come tutti i cantautori più grandi, secondo me). Per questo la sua musica è così densa. Per questo ti porta all'affanno e quando finisce fa tirare un sospiro di sollievo: anche tu hai dovuto confrontarti con i suoi pensieri di morte, con le sue terribili perdite. Ma sei riuscito a trovare la chiave per aprire il lucchetto; lui invece è ancora nel pieno della lotta, nonostante siano arrivati gli -anta. E' più tranquillo e meno spasmodico, questo sì, ma chiaramente ancora nascosto in trincea.

I suoi ultimi lavori, spesso targati Sun Kill Moon, soffrivano solo di un difetto: la monotonia.

Senza i cambi di passo drammatici di "Down Colorful Hill", senza le danze spettrali dell'omonimo, senza l'articolata fantasia melodica di "Ocean Beach", la sua musica – per quanto sempre troppo carica di pathos – suonava un filo monocorde e meno appassionata. La collina rossa era un ricordo troppo lontano.

Può essere che Jimmy Lavalle, santone della musica elettronica, personaggio innamorato perso degli spazi inquieti di gente come i Labradford e dellla musica techno-pop, abbia sviluppato un ragionamento non troppo diverso dal mio. Al genio di Mark serviva la scossa. Ed è arrivata.

"Perils from the Sea" dà voce alle profonde inquietudini e alle dolcissime estasi della nostra Vita meglio di quanto fosse riuscito all'ultimo Mark. Lavalle è l'autore di melodie e arrangiamenti, e usa Mark come uno strumento, anzi come lo strumento centrale. Mentre il Poeta, per non smentirsi, imbottisce ogni brano di una tale profusione di anima e di riflessioni sull'esistenza da strapparti ancora gli occhi del cuore per metterli sopra un vassoio.

Le invenzioni melodiche sono incisive e brillanti, anche se le cascate di emozioni ferite che hanno reso "Down Colorful Hill" il disco più bello del suo decennio restano lontane.

Mark rimane un libro aperto: "Caroline" è l'amore perduto dei tempi del liceo, o forse l'ultimo vagito dei nostri vent'anni. "Here Comes More Perils From the Sea" cattura paure ataviche e le mette al tappeto, mentre Lavalle spiega cosa significa suonare ambient-pop minimalista senza trasormarsi in gente noiosa. "What Happened to my brother" è una tenera preghiera, il panegirico dell'amore fraterno, forse dell'amore universale. Mark ti abbraccia davvero, e le trame sonore gentili e rarefatte - ma sempre forti di un ritmo pulsante - sono semplicemente toccanti.

"Somehow to wonder of Life Prevalis" è la canzone d'autore, così come potrebbe suonare nel 2030: Lavalle elabora un elegante saliscendi sonoro, una techno-pop dilatata e soavemente triste, mentre Kozelek celebra forse la melodia più depressa e insieme forte del disco. Dieci minuti di aria pulita e di fumi oscuri che non sfigurano – questa volta è così – se paragonati ai momenti più alti del giovane Mark.

Non si fosse capito, fra i dischi più belli del 2013.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 7 voti.
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JetBlack 9,5/10
salvatore 6,5/10
REBBY 6/10

C Commenti

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benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 0:44 del 17 agosto 2013 ha scritto:

Difficile non essere d'accordo con una recensione che fotografa perfettamente il risultato del sodalizio Kozelek/Lavalle e con il quale entrambi ci guadagnano. Lontano certo dalle altezze emozionali della Casa Rossa, Mark dimostra di essere ancora un Pittore in grado di regalarci struggimenti romantici di classe sopraffina. Bel ritorno

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 15:55 del 17 agosto 2013 ha scritto:

Non che Mark Kozelek abbia rinunciato a raccontare la vita con i consueti, struggenti, toni malinconici, ma l'apporto elettronico minimalista di Jimmi Lavalle (a.k.a. The Album Leaf) riesce a rendere quelle melodie (adorabili e meravigliose, non servirebbe neanche sottolinearlo) più dinamiche e in questo senso anche più “leggere”. “What happened to my brother?”, “1936”, “Gustavo” e “Baby can I resist next to your grave?” (allegria) scorrono che è un piacere, e questo per i non adepti del Kozelek-pensiero sarà una novità sconcertante. Bassi, glitch, elettronica in chiave Morr Music si fondono perfettamente con la voce di Kozelek, come se gli Arab Strap avvessero deciso di unirsi ai Red House Painters, o i Lali Puna ospitassero Kozelek alla voce (“1936”). La base e il centro di tutto rimangono in quella voce, capace con pochi accorgimenti di toccare la sensibilità più intima e privata, osando tonalità inedite (“Gustavo”), riportando alla mente certi elementi del cantautorato indie degli anni '90 (“Caroline”) e raccontando amori perduti con innocente semplicità (“Ceiling Gazing” diventa quasi un canto natalizio). Poi certo, il disco è lungo e gli elementi sono pochi (praticamente è un gospel su base elettronica minima) e ad un certo punto (diciamo verso la fine di “Ceiling Gazing”) la defenestrazione sarebbe inevitabile, ma noi un Mark Kozelek così ispirato ce lo teniamo stretto e “He always felt like dancing” è una delle canzoni più belle dell'anno.

FrancescoB, autore, alle 16:51 del 17 agosto 2013 ha scritto:

Grande Fab, hai integrato alla perfezione la recensione! Contento che il disco piaccia, per me è veramente ottimo.