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R Recensione

6,5/10

Eluvium

Pianoworks

Anno dopo anno, lo stimolo creativo di Matthew Cooper in risposta allo stato d’emergenza in cui si trova a vivere e con cui è costretto ad interagire (lo stesso che ha innervato, in tempi recenti, composizioni isolate come “Unity Engrossed Forever Supposedly” o l’infinita, perfetta combinabilità aleatoria di “Shuffle Drones”) si fa sempre più peculiare, intimista, a suo modo controcorrente. C’è una sorta di circolarità esistenziale, dopo l’utopistica cornucopia di “Nightmare Ending” (2013) e le candide cattedrali sonore di “False Readings On” (2016), nel ritorno alle sonate per solo piano, a un quindicennio di distanza dall’importante “An Accidental Memory In The Case Of Death”: un bisogno di rifugiarsi nell’essenziale, di rifuggire il rumore di fondo, di rivendicare – finanche politicamente – un ruolo artistico non conforme all’esteriorità del quotidiano.

In questo il doppio “Pianoworks”, più che come ennesimo disco di inediti, è esegetico nel ricoprire la funzione di una raccolta di appunti, summa filosofica di un pensiero originale ed influente (padrino, volontario o involontario, del minimalismo neoclassico? E sia). Un’antologia di brani, scritti a varie riprese nel corso degli ultimi dieci anni, di assoluta semplicità strutturale, dal melodismo essenziale e delicato, mai così immediato nel suo disvelarsi esterno. Di cogitabonda malinconia (l’iniziale “Recital”) e lontane evocazioni autunnali (le leggere dissonanze della rientranza armonica di “Underwater Dream”) si può anche morire, se chi le chiama a sé non è governato da un’intenzione limpida: è precisamente in questa cifra che si riconosce il talento cristallino di Eluvium, non intaccato dal trascorrere temporale e mai davvero in condizione di deludere, nonostante un repertorio a tratti non all’altezza dei migliori autografi (lo Yann Tiersen di recupero di “Masquerade”, la meditazione frammentata di “Soliloquy & Aside”). Sugli spunti isolati e i picchi di sublime prevale, piuttosto, una gradevole uniformità di livello: dall’austero valzer di “Vacuous Plenum” al piccolo studio coreutico bartókiano di “Myriad Days”, dalla cornice pop in cui si inserisce “Carrier 32” alle sospensioni mertensiane che turbano il passo classico di “Paper Autumnalia” al descrittivismo poetico di “Empathy For A Silhouette” (forse un filo troppo lunga), ogni contributo entra a far parte di un organismo di livello superiore, che si muove e respira in sincrono.

Da esperire in assoluto silenzio e in un rigoroso continuum con il secondo volume, che raccoglie – con felice piglio compilativo – alcune delle più centrate composizioni pianistiche edite nei dischi precedenti: oggi come ieri, colme di luminosa beatitudine appaiono le intuizioni ambient neoclassiche di “Nepenthe”, “Prelude For Time Feelers” ed “Entendre”.

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