Warpaint
Warpaint
Nelle interviste che hanno preceduto luscita dellalbum la frontwoman Emily Kokal parla di compromessi, dellequilibrio che bisogna mantenere allinterno della band. Come nella copertina di questo Warpaint, dice, che ritrae le quattro componenti sovrapposte in un gioco di trasparenze, bisogna diventare tuttuno senza sopraffarsi. Gli stessi compromessi nel sound di questo sophomore della band losangelina che non lo rendono un disco pienamente compiuto, nonostante una direzione chiara. Troppa complessità ricercata che non sempre nasconde della sostanza.
Warpaint è un disco lento, costruito per non essere facilmente penetrabile al primo ascolto, rifuggendo consapevolmente un certo tipo di melodia che non fosse inabissata nel flusso ambientale che caratterizza il nuovo corso.
La scelta è stata di sottrarre e di fatti ci ritroviamo di fronte a un lavoro diverso dal disco desordio; evaporato il folk e messe in secondo piano le chitarre a favore dellasse voce/sezione ritmica e dei synth, il post punk abulico delle Warpaint si è fluidificato, ma gli anestetici non hanno ancora terminato il loro effetto. Anzi, i mille cambi di sfumature delle canzoni sono pigri, ovattati, le texture sono squadrate ma si sviluppano lente e ipnotiche, come guardare un caledoiscopio sotto effetto di morfina. Fra vaneggiamenti dub, sottofondi di fruscii e note dissonanti che non fanno che esaltare i momenti in cui il flusso degli strumenti collima con la voce, rivelando pieghe di dolcezza, quella che ascoltiamo è, appunto, una virata verso territori ambient.
La batteria modifica la propria rigidità post-punk su ritmi downtempo negli episodi più interessanti e radicali (Hi quasi Portishead, la molle e ovattata Teese) e dovunque la sensazione è quella di una lenta evoluzione. Prendiamo Biggy che si apre con un riff sghembo e dondolante, sorretta da un basso ossessivo dal passo circospetto e che ad ogni ripresa si arricchisce di dettagli, si espande e poi si richiude sullo stesso ostinato, infine se ne dimentica fra i riflessi dei synth in chisura.
La figura di Nigel Godrich, pubblicizzata come produttore, è in realtà intervenuta solo in fase di mixaggio in due canzoni: Love is To Die e Feeling Alright. La prima, con la sua strofa à la Beach House e il cambio di chiave nel ritornello è un riuscitissimo singolo, un po summa del disco e la seconda, retta interamente dal basso mentre le chitarre si limitano a rifinire, potrebbe essere indicata come ponte ideale con The Fool, insieme a Keep It Healty, marcetta eterea dove le chitarre giocano ancora un ruolo importante. La scossa Disco//Very è funk scuro e ossessivo, piuttosto fuori posto, che trova la sua nemesi nella successiva Go In, eccessivamente drogata e priva di mordente.
La parte finale è quella in cui ci si spinge più lontano dalle origini, fino al retrogusto industrial di CC, al synth pop cinematico di Drive e alla ballata onirica Son, ad alto gradiente melodico, per chi ha attraversato il trip fino alla fine.
Warpaint si apre con un passo falso, un inaspettato dietro le quinte, lIntro in cui la batterista sbaglia il pattern con tanto di imprecazione ma, nonostante un certo sentore di incompiuto, il disco non è definibile come tale; semmai è un disco di transizione, che necessita di qualche ascolto per disperdere le nebbie in cui è avvolto e rivelare, per fortuna, che il nuovo ne è la parte più interessante.
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