Nothing
Guilty Of Everything
Di un album shoegaze con ascendenze hardcore pubblicato da una label metal. Guilty of Everything (un titolo che è unammissione liberatoria) è il primo LP della band di Domenic Palermo, già membro della band hardcore di Philadelphia, gli Horror Show, dovuta abbandonare per guai con la giustizia che lo hanno portato a passare due anni in prigione. Sempre di Philadelphia la Relapse Records, che è stata casa di gente come i Mastodon.
Esperienze di ibridi fra lo shoegaze e qualcosa di più fisico non sono nuove, pensiamo al black-gaze degli Alcest o alla formula ancora più dissociata dei Deafheaven. Qui siamo in presenza di una unione di intenti perfetta fra il mondo sognante dello shoegaze e le istanze dellunderground americano. Per questo, il nome degli Smashing Pumpkins non può che ricorrere durante lascolto, per quella loro capacità di gettare un ponte fra le due sponde, fra la rabbia repressa del grunge, con tutte le sue ascendenze, e le melodie di matrice indie-pop britanniche, grazie ad un wall of sound granitico.
Palermo, per sua ammissione, ha sempre voluto fare musica come questa, che esplicitasse gli ascolti captati in famiglia, ma lesperienza precedente ha comunque lasciato unimpronta sul suo songwriting (tantè che lepica sad hardcore di Jesu è citata fra i riferimenti principali). Lo si sente soprattutto in Bent Nail, lepisodio più atipico dellalbum, ma un po ovunque si insinuano dei riff di chitarra che come macigni ricadono nel flusso sonoro. Quando il gioco di alternanze viene sfruttato a fondo abbiamo gli episodi migliori: Dig nasce da un riff di pura materia Smashing Pumpkins, si evolve in una nenia dolceamara e fa delle sfuriate intermittenti sul finale il suo marchio di fabbrica.
Così in Hymn to the Pillory troviamo Billy Corgan (la metrica della strofa è quella, non si scappa) spazzato dallarrivo di Shields e soci mentre altre volte laccostamento è meno riuscito ("Get Well", che sostanzialmente è un pezzo punk nel cui mezzo si palesano i Jesus And Mary Chains). In "B&E" i Catherine Wheel (autori anche loro di un travaso fra le due sponde dellAtlantico) imperversano con le loro pieghe in minore.
Dallaltro lato troviamo influenze post-rock; gli intrecci fra le chitarre scure, gli equilibri con la batteria, i bassi che vibrano come se i Mogwai avessero deciso di liberarsi delle sovrastrutture cerebrali (Endlessly) mentre Beat Around The Bush gioca con la lenta costruzione del genere.
Una nera alienazione ammanta il disco, che è una sorta di percorso di redenzione per la gran parte scritto mentre Palermo scontava i due anni di reclusione per aggressione e tentato omicidio. Ha senso allora la chiusura con Guilty of everything, catartica e dolce di liberazione.
Se solo la struttura delle canzoni fosse stata meno ripetitiva e se le canzoni avessero avuto quel qualcosa in più, che manca e non fa decollare il disco, staremmo parlando di un gran bel lavoro.
Certo è che nella scarsità di uscite di rilievo, questanno, i Nothing fanno comunque la loro figura.
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