R Recensione

5/10

Giovanni Allevi

Evolution

Conscio del rischio di passare per voltagabbana e di attirare sul mio conto un cospicuo numero di critiche, anche non propriamente leggere, ugualmente ammetto: mi piace Giovanni Allevi.

Sì, Allevi mi piace. Mi piace quel suo modo di saper suonare e comporre la musica, di aver studiato –e, magari, di saperlo ostentare- ma di non passare a tutti i costi per artista navigato, scafato, barboso. Anzi, la sua immagine è forse all’antipodo dell’istantanea classicista: capelli ricci, sneakers, occhiali, una figura giovane, che sappia comunicare con le nuove generazioni senza per forza dover passare in eredità da padre a figlio. Ritengo che la sua sia una ricerca musicale oggettivamente plaudibile, aldilà dei gusti personali: tentare di malleare la rigidissima idea di suite classica, avvicinandola ad un concetto, una libertà ed una relativa fruibilità pop è comunque esperimento non da poco. In soldoni: a detta del sottoscritto, Allevi suona delle belle canzoni al pianoforte, semplici ed essenziali ma, in definitiva, emozionanti. Ho imparato ad ascoltare prima, a fischiettare poi, ad amare successivamente dischi come “13 Dita” (1997) o “Joy” (2006). Sono altresì convinto che, in larga parte, il malcontento e le ostilità nei suoi confronti siano dettati più da un’eccessiva ed errata aspettativa che da un’effettiva valutazione dei suoi mezzi e del suo valore. L’attendersi un musicista impegnato ed impegnativo, profondo e sontuoso che il Nostro non è e non vuole essere. Certamente, molto contribuisce la smodata esposizione mediatica che il personaggio subisce periodicamente, e da cui mi distacco nella maniera più assoluta, riconoscendo in effetti quell’aria di preconfezionamento a tavolino –anche un po’ arrogante, a dirla tutta- che non si vorrebbe mai riscontrare. Inutile, insomma, rispecchiarsi in blasfemie come “Mozart del 2000”, o azzardi recensorei che picchettano l’opera del suddetto in definizioni insensate come “classica contemporanea”.

Tuttavia, messe da parte le chiacchere da bar e i futili contenziosi, rimane l’opera. La sostanza.

Vi dirò, qualcosa di strano c’era già e lo si poteva capire. Nel 2007 Allevi aveva più o meno lavorato assiduamente sul consolidamento del suo nutrito seguito, giovanile e non. In ordine sparso: un doppio, cd + dvd, “Allevilive”, con registrazioni estrapolate dai suoi concerti; un altro dvd dal vivo, “Joy tour 2007” ; infine, quell’uscita biografica così discussa, “La musica in testa, piccolo sunto delle manie scaramantiche e dei capricci artistici di quello che è il personaggio di Giovanni Allevi. Abbastanza superfluo, per non dire pleonastico. Poi, ecco che sul finire dell’anno arriva la rivelazione: il pianista ascolano sta lavorando ad un nuovo disco, questo “Evolution”. Incontrollabile bulimia artistica? Macché: una semplice rivisitazione di alcuni dei suoi pezzi più famosi, incluse opere destinate ad un uso teatrale e mai proposte su cd prima, in compagnia nientemeno che della super orchestra dei Virtuosi Italiani, collettivo sinfonico di quarantanove elementi, fra violoncellisti, flautisti, percussionisti ed altri ancora. In (brutale) sintesi: cinque album, poco più di una decade a livello professionistico, e pare ci sia già bisogno di un tributo a sé stesso.

Col senno di poi, anche lo stesso “Evolution”, a livello prettamente musicale, pare necessitare di un riepilogo tanto franco quanto lapidario. Basta una sola, impietosa etichetta: questi pezzi sono stati riarrangiati e ripresentati tanto per battere il ferro finché è caldo. Allevi –e c’è da dire che questo non mancherà di ritorcersi contro- pare aver capito che il momento è propizio per calare il poker d’assi e fare il pienone. Da un punto di vista manageriale, il ragionamento non farebbe una grinza, se di mezzo non ci fosse l’onestà intellettuale e la voglia di rimettersi in discussione. Non bastano plurime presenze estranee in più, che siano due oppure, come nel nostro caso, quarantanove, per sentirsi appagato, o per far gridare al coraggio. “Evolution” non è né uno né l’altro.

Certo, non dirò che non ci siano cose buone: dopotutto, come compositore, Allevi rimane ben più che soddisfacente. Prendiamo l’opener, ad esempio, “Foglie Di Beslan”, composizione orchestrale mai data alle stampe. Il pianista non perde certo l’abitudine di inscenare una storiellina a sé per ogni suo pezzo (abitudine che inframmezza anche i brani eseguiti dal vivo). “Ho scritto “Foglie Di Beslan” per non dimenticare. È stato come regalare un mazzo di fiori musicali, in ricordo di quegli sguardi innocenti, di quelle incredule vittime dell’odio e della violenza, che non hanno mai una giustificazione. La musica ha il grande pregio di saper dire senza parlare, arriva al cuore degli uomini senza intermediari, e “Foglie Di Beslan” è la mia risposta senza parole, una risposta di speranza perché tutto ciò non accada mai più”, ci dice il Nostro.Un flusso prog-pianistico che, minuto per minuto, grazie anche ad un tema ricorrente per flauto dolce e malinconico, prende coraggio, fino ad esplodere nel finale, saturo di archi. Inutile il preavviso di Allevi su cos’è e cosa non è il suo nuovo concepimento: nonostante avesse fortemente negato un collegamento con la musicalità da colonna sonora, sembra proprio che “Foglie Di Beslan” sia stata composta per l’occasione. Ma, fra gli episodi riusciti, possiamo anche aggiungere le riletture, entrambe da “No Concept” del 2005, di “Come Sei Veramente”, canzone già meravigliosa nella sua veste di solo pianoforte, qui arricchita da orpelli orchestrali, e “Prendimi”, maestosa nelle sue aperture e scattante nei movimenti per solo piano.

Altrove, invece, il disco annaspa gravemente. Questa nuova versione del musicista, barocca, pomposa, eccessiva, pesante, così lontana dai minimalismi di appena pochi anni addietro, fa storcere all’unisono nasi e bocche. E annoia, all’inverosimile. Che siano brevi incisi sotto i tre minuti (“Keep Moving”, impalpabile, o “Corale”, breve sbrodolamento new-age del tutto inconcludente) o addirittura intere suite dalla lunghezza prossima ai venti minuti, come “300 Anelli”, sul rapporto fra uomo e natura. Peccato, perché i buoni presupposti c’erano, e vanno ricercati nei nove minuti e passa della seconda parte, con palpiti walzer à la Strauss altamente danzerecci e godibilissimi che la rendono, di fatto, la vetta del disco. Da evitare largamente, invece, la prima suddivisione, introspettivo miscuglio di Ludovico Einaudi e Keith Jarrett che più di una volta fa abbassare vertiginosamente la saracinesca dell’attenzione. In mezzo, incastrateci andanti senza pretese come “Whisper”, dalle sovraincisioni di archi che, più di una volta, potrebbero richiamare alla mente esperimenti del pop sinfonico all’italiana databile nei primi ‘70.

Gli affezionati rimarranno sicuramente delusi, da questo “Evolution”. Un po’ ci sono rimasto male anch’io. Troppo diverso dallo stilema che avevamo più a cuore, troppo ambizioso per poter concretizzare qualcosa. Né carne né pesce. E non ci si stupirebbe se, passato un po’ di tempo, i teenager di tutto il mondo canticchiassero questa o quell’altra aria invece dei successi del momento.

Le malelingue, d’altro canto, avranno finalmente materiale sufficiente per scatenarsi. Con queste premesse, francamente, diviene difficile poter pensare di difendere ancora a lungo la propria posizione.

E qualcuno dovrebbe dire al nostro Giovanni Allevi che, a forza di giocare col fuoco, ci si può scottare.

Permanentemente.

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 4 voti.
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C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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fabfabfab (ha votato 3 questo disco) alle 10:40 del 26 agosto 2008 ha scritto:

Politically uncorrect

Non chiedetemi il perchè, ma io a uno così gli infilerei il culo sotto due metri di terra e ci pianterei sopra una cazzo di fila di cactus (citazione più o meno fedele da Joe R. Lansdale)

Marco_Biasio, autore, alle 22:51 del 26 agosto 2008 ha scritto:

RE: Politically uncorrect

Molto alleviano, come concetto!

bart alle 15:28 del 23 novembre 2010 ha scritto:

Non capisco tutto questo odio da parte di alcuni nei confronti di Allevi. E'ovvio che non può essere paragonato ai grandi musicisti classici, ma è comunque bravo, e il suo successo può aiutare i giovani ad avvicinarsi alla classica. Esagerate mi sono parse le critiche di Uto Ughi, che si è detto addirittura offeso per il suo concerto al Senato. Persone come lui farebbero meglio a scendere dalla torre d'avorio e prendersi un pò meno sul serio.

Emiliano alle 17:44 del 23 novembre 2010 ha scritto:

La presenza in senato di Allevi mi sembra molto meno scandalosa rispetto a quella di altri figuri.

Fab, complimenti per la citazione da Lansdale (immenso).

paolo gazzola alle 18:20 del 23 novembre 2010 ha scritto:

Sarebbe meno scandalosa anche quella di Cappuccetto Rosso.

bargeld alle 19:07 del 15 giugno 2011 ha scritto:

Non so come avevo fatto a perdermi la tua citazione "più o meno fedele" di Lansdale, Fab! Mi emoziona solo leggere il suo nome... Allevi chi?