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R Recensione

7/10

Nosound

The Northern Religion of Things

I Nosound all'ennesima potenza. Non tragga errate conclusioni il lettore: contrariamente a quanto fanno negli ultimi anni molti gruppi che sentono la necessità di proporre una nuova lettura del proprio materiale passato, rivolgendosi  ad orchestre o a sezioni d’orchestra e potenziando l'aspetto sinfonico (anche laddove non era in origine presente), i Nosound ricercano la propria "forza", in un processo di riduzione degli elementi di dispersione. Si va al nocciolo, o per dirla alla romana (o all'inglese, se vi piace di più, tanto il significato è lo stesso…), si va al "core". Perché la potenza vera sta nell'esaltazione delle piccole cose. E così all'indomani della performance "in solitaria" che lo scorso anno Giancarlo Erra (leader e compositore della formazione) ha tenuto in un piccolo club londinese, è scaturita l'idea di fotografare quel particolare momento, replicando in studio la performance, suonando dal vivo, con il solo supporto offerto dai campionamenti e, infine, registrandone l’esito senza l’uso di sovraincisioni. Perché, se negli anni '90 il concetto di "unplugged" ha sotto diversi punti di vista snaturato l'ispirazione primigenia di certe canzoni (non sempre restituendole a versioni dall'effetto "nude" così convincente), a quasi vent'anni di distanza si può far pace con la spina attaccata, con l’elettrificazione e con i laptop accesi, se la musica che ne scaturisce mantiene una sua naturale veracità.  In questo senso, Erra, “in solitudine” su un palco o in uno studio, alla ricerca dell'essenza di se stesso, rimane in compagnia delle sue chitarre e delle sue "macchine", a dare colore e calore ai brani estratti dai suoi tre album in studio. Che poi, per Giancarlo Erra, è davvero un tornare al momento creativo della composizione. Ecco cos’è questo "The Northern Religion of Things": la chiusura di un cerchio. Un riannodarsi di fili, un ritorno, fatto nella stessa modalità con cui il viaggio aveva avuto inizio: da solo. Nel 2005, come evento promozionale per la pubblicazione del debut album "Sol29" era stato organizzato un piccolo concerto in una biblioteca del centro di Roma, in cui i Nosound si mostrarono già in veste ridotta. Serbo ancora il ricordo dell'esecuzione della title-track. Ora in questo "live in studio", riaffiora quella stessa emozione, che nasce però da un singolo respiro, dal pulsare di un solo cuore. E, paradossalmente, proprio in virtù di ciò, l’esecuzione si sprigiona con una vitalità per nulla depotenziata o meno concreta. The Broken Parts (uno dei più bei pezzi scritti dalla penna di Erra), Fading Silently, Tender Claim, Hope For The Future, trovano credibili versioni in una dimensione che, come detto, ne rammenta la loro genesi. Certo una Kites (cavallo di battaglia nei concerti), senza la batteria di Gigi Zito, stenta un po’ a decollare, ma anche qui non vengono stravolti i tratti che la rendono una delle composizioni più amate dai fan dei Nosound (vedi il liquido assolo di synth, ad esempio). The Misplay, poi mantiene praticamente la stessa struttura che aveva su “Lightdark” (2008), la stessa intima bellezza, che pare rendere vicini i mondi sonori del David Sylvian più minimale. Stesso discorso proprio per Lightdark che, anche nel nuovo vestito, celebra le stesse atmosfere e le stesse suggestioni che evocava sull’album a cui dava il nome. 

Non c’è più nulla qui, in queste reinterpretazioni, che sospinga ancora la tesi di una ispirazione comune con lo Steven Wilson che fu (no-man o Porcupine Tree di “The Sky Moves Sideways”) o con i lirismi Gilmouriani, essendo radicalmente cambiato il focus, il contesto e la prospettiva gettata sul senso di fedeltà alle cose minime che danno vita alle canzoni, senza il bisogno di ricorrere necessariamente ai massimi sistemi. In particolare il fischiettio di Giancarlo, in The Broken Parts, che si sostituisce al ben noto fraseggio di sintetizzatore, diviene il simbolo dell'intera operazione compiuta in questo strano live album, per nulla pubblicizzato in quanto tale, ma anzi percepito quasi come un ulteriore capitolo della discografia dei Nosound. Se esiste una via definibile come “cantautorato ambient”, questa deve essere da queste parti. Sarebbe stato a mio avviso importante inserire almeno un inedito, nato direttamente in chiave “stripped”: ciò avrebbe spostato altrove l’attenzione, evitando per qualche minuto, il confronto fra il passato e il presente, dando agli appassionati dei Nosound anche un qualcosa in più, nella lunga attesa che li sta separando da un effettivo nuovo album.

Il titolo, tratto dall’incipit de “Le Correzioni”, capolavoro del 2002 di Jonhatan Franzen, richiama questo spirito di ricerca laica dell’universo tangibile, compiuta con una disposizione quasi religiosa e tesa a scorgere il volto segreto, pulviscolare della realtà. Poteva esserci una espressione più calzante per descrivere lo stato di allerta e di riflessione a cui questa musica “molecolare” esorta?

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