Matmos
Supreme Balloon
“Tutto qui?”. Devono aver pensato qualcosa del genere quelli della Matador Records di fronte a questo nuovo disco dei Matmos. Abituati com’erano alle stranezze della coppia (di fatto), i proprietari dell’etichetta statunitense devono esserci rimasti un po’ male. Dal 2001 (anno del passaggio su Matador dalla Vague Terrain records) hanno pubblicato le opere di M. C. (Martin) Schmidt e Drew Daniel, trovandosi ogni volta tra le mani splendide commistioni di Musique Concrète, tecnologia concettuale-espressionista e pura ricerca sonora.
Hanno diffuso brani suonati interamente con i laser per correggere la miopia, campionamenti del rumore del grasso durante una liposuzione e pezzi suonati grattando la cuccia del gatto (rispettivamente (“L.A.S.I.K.”, “California Rhinoplasty” e “For Felix” dall’album “A chance to cut is a chance to cure”- 2001). Hanno pubblicato un concept album sulla guerra civile, incredibile connubio tra american-country ed elettronica (“The Civil War” – 2003) e un mastodonte di sperimentalismo tecnologico, ricco di citazioni e lucida follia (“The rose has teeth in the mouth of a beast”– 2006).
Non sono mai stati una semplice “electronic band”, i Matmos. Almeno fino ad oggi. Perché “Supreme Balloon” è un disco di musica elettronica. La priorità che il duo ha sempre dato alla componente “arty” e sperimentale si sposta decisamente sull’amalgama sonoro, sulla sensibilità melodica. La rivoluzione dei rivoluzionari di nascita è una non-rivoluzione. E allora, ecco un disco fatto totalmente di synth. Arp, Korg, Roland, Waldorf, Moog… .Niente voci, niente microfoni, niente campionamenti bizzarri, niente strumenti acustici. Il rischio è che la non-rivoluzione si trasformi in involuzione.
Il management Matador potrà dormire sonni tranquilli. Sebbene possa considerarsi un episodio minore nella discografia dei Matmos, “Supreme Balloon” è un disco sopraffino, ancora una volta. L’impressione è che il duo di San Francisco si diverta un mondo, tra gli accenni bossa-nova (e i Mouse on Mars di “Niun Niggun” dietro l’angolo) di “Rainbow flag”, la marcia videogame di “Polychords” (Daft Punk + Junior Boys ?), il puro suono-Matmos di “Exciter lamp” (sembra di sentire un mandolino ma, ricordate, solo synth) e una breve cover del compositore barocco Francois Couperin (“Les Folies Françaises”). Questo il contorno. Il piatto principale è la title-track: 24 minuti tra electro-kraut e prog lisergico proveniente dallo spazio, interamente basato su un pattern di tabla ottenuto dal “Taal mala”, una drum machine indiana. Infine, i commensali: da Marshall Allen della Sun Ra Arkestra (a proposito di spazio) che suona l’oscillatore a fiato in “Mister mouth” a Jay Lesser, da Keith Fullerton Whitman alla pianista Sarah Cahill, fino alla bonus track (solo su vinile e I-tunes) “Hashish Master”, improvvisazione di sua maestà Terry Riley. Al sintetizzatore, naturalmente.
Alla faccia dell’episodio minore.
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