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R Recensione

7/10

AA. VV.

Nigeria 70 Sweet Times

Mi sa tanto che ha ragione il ministro Tremonti. Con la cultura non si mangia. Soprattutto – ma questo Giulietto “favquadvaveiconti” non può ammetterlo – se il Ministro della Cultura è uno come Sandro Bondi. “Sandro Bondi”, fa schifo persino digitarne il nome sulla tastiera del computer.  

Comunque sia, lasciando da parte le ideologie (tanto, ormai…), la storia – ma soprattutto l’attualità - sembrano dar ragione a Giulio & Sandro, lo provano centinaia di pittori squattrinati, musicisti pezzenti, scrittori deperiti e laureati interinali. Perché se la cultura, l’arte, l’ingegno e la bellezza avessero un valore economico, l’Italia sarebbe tra i paesi più ricchi del mondo e non la suburbia europea nella quale viviamo. E la Nigeria non sarebbe certo l’orifizio del pianeta che è, se considerate la quantità impressionante di musica che da anni continua ad arrivare da quel paese. Ultima raccolta in ordine di tempo, arriva “Nigeria ’70 Sweet Times”, terzo capitolo della serie “Nigeria '70” targata Strut records.  

Nonostante i “nomi grossi” fossero stati spesi nei volumi precedenti (Fela Kuti, Tony Allen, Blo, Peter King, Orlando Julius, Sunny Ade …), il prode Duncan Brooker riesce ancora una volta a recuperare da vecchi vinili una serie di brani dalla qualità media spaventosa, spostando leggermente l'attenzione dall'afrobeat classico e dal funk al juju.  

Non che il “funky Lagos” manchi (“Unity in Africa” di Eji Oyewole ha un tiro funk inarrestabile), nè tantomeno l’highlife sia tradizionale (con il suo “evil geniusDr Victor Olaiya ed i suoi International All-Stars) che nella sua evoluzione afrobeat (The Don Isaac Ezekiel Combination è un trio composto da ex-Koola Lobitos), ma il vero punto d’interesse di questo terzo viaggio nelle tradizioni musicali Nigeriane è il juju, la musica delle percussioni yoruba diffusa nella zona sud-occidentale del paese, una commistione incredibilmente “aperta” di elementi afro, latin, hawaiani e spagnoli. Due esempi: “Inu mimo” di Sina Bakare (figlio di Ayinde Bakare, uno dei pionieri della musica Juju) e i quindici minuti “cosmici” di “It’s Time For Juju Music” di Admiral Dele Abiodun & His Top Hitters International. Roba che non si mangia, certo, ma che aiuta a vivere almeno quanto la polenta. “It’s time for juju music/shake shake shake your body/hold your baby…”.

 

 

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